mercoledì 22 agosto 2012

Piccoli enormi progressi.



Certe volte, improvvisamente, penso che tutto sia inutile. Osservo, seduto, il piano del tavolo che rimane di fronte, e sento in me come una febbre che distorce gli oggetti attraverso i miei occhi, fino a farli apparire comuni, familiari, gli stessi di sempre, forse soltanto offuscati da una patina di umido presente sotto le palpebre, forse vicini a me in un senso pratico, ma di fatto del tutto estranei al modo di essere che ho appena deciso di assumere da ora in avanti. Non trovo più alcun interesse nell’osservazione del tavolo e degli oggetti che ci stazionano sopra, penso, ho bisogno di vuoto, di assenza, di un nulla che adesso è oltraggiato da queste immobili cose.

Ho tutto il diritto di rendermi conto, alla fine dei miei pensieri, che il comportamento che ho tenuto per anni sia senza scopo, ed è quasi un avvertimento quello che mi sento di dare, e probabilmente mi piacerebbe che almeno in questa stanza si giungesse a tenere conto di queste deduzioni precise. Allontano con la mano il bicchiere con due dita di acqua che mi è stato sistemato vicino, poi sento alle mie spalle che è entrata, socchiudendo come sempre con lentezza la porta, mia sorella Rosina, a rendersi conto che io stia ancora bene, che non abbia bisogno di niente e altre cose del genere. Vai via, penso in silenzio, e intanto bofonchio qualcosa come se la mia meditazione mi avesse trasportato in una dimensione diversa.

Vuoi che ti sistemi un cuscino dietro la schiena?, sembra chiedere lei con quelle maniere sempre troppo dedite agli altri per non apparire del tutto insopportabili. Non dico niente, neppure tento di girarmi verso Rosina, non c’è alcun bisogno che io la veda per sentirmi certo della sua presenza, del suo modo di tenermi perennemente sott’occhio. Il nulla, penso, ho soltanto bisogno del nulla. Lei si avvicina, osserva i miei oggetti di sempre sparsi sul piano del tavolo, e li riordina, come se una disposizione diversa ne cambiasse il significato. Poi esce.

Questo è esattamente il senso di inutilità di ogni sforzo che compio. E’ come se ogni volta che cercassi di uscire da una vecchia maniera di essere, per spingermi a trovare una dimensione migliore, un modo più giusto per comprendere questa realtà, tutto improvvisamente tornasse a riprendere le antiche fattezze, come non esistesse mai un oltre, ma soltanto un tentativo, perennemente sconfitto. Torna Rosina, porta una tazza di tè, come ogni sera a quest’ora. Ecco, dice con morbida voce, adesso scotta, la metto sul tavolo, tra un attimo torno per aiutarti, rilassati solo un momento, non aver fretta. Torna il silenzio dentro la stanza.

Mi viene voglia di toccarmi col dito la punta del naso; c’è un’essenza di qualcosa che esala nell’aria, penso, mi piacerebbe poterla descrivere, ma è un compito ingrato, e poi ho deciso di non dare più alcuna importanza agli oggetti e alle cose che vedo e che sento. Torna Rosina, prende la tazza, soffia sul tè, poi me lo avvicina alla bocca. Lascio fare, sono soltanto normali consuetudini, penso. Infine va via con la tazza e col resto. Il tè mi ha scaldato, improvvisamente mi sembra di stare meglio. Se soltanto potessi muovermi da questa sedia a rotelle, muovere almeno le mani, liberarmi di questi stupidi oggetti che ho perennemente davanti ai miei occhi mi sentirei un’altra persona, rifletto; ma forse non ha neppure una grande importanza: se proseguo la concentrazione su questi pensieri riuscirò a modificare quanto ormai ho deciso, ne sono sicuro. E ‘ soltanto una questione di tempo, penso, il mio nuovo modo di essere porterà grandi vantaggi, e non ci sarà più neppure bisogno di ricordarsi com’era stato una volta.

Bruno Magnolfi


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