sabato 11 agosto 2012

L'arbitro di sempre


Nel quartiere il ragazzo era conosciuto come un tipo serio, taciturno, che certe volte si metteva a guardare gli altri mentre in un campetto giocavano al pallone, senza chieder mai loro di far parte di una squadra o di quell’altra, evitando persino di avvicinarsi un po’ di più, tanto da permettere agli altri di chiedergli qualcosa: fare l’arbitro, ad esempio, contare i punti, calcolare i tempi di gioco, cose del genere. Lui stava lì, con estrema serietà, osservava la partita seduto con il viso tra le mani, oppure in piedi, con le mani sprofondate nelle tasche, l’espressione identica, immobile. Poi, appena prima che finisse la partita, se ne andava.

Anche a scuola era così, sempre in disparte. Tanto che la mamma era stata richiamata dagli insegnanti per spiegarle il comportamento di suo figlio. Ma niente era cambiato. Certe volte gli altri cercavano di prenderlo un po’ in giro, ma smettevano subito, perché lui restava indifferente a quegli scherzi, togliendo loro qualsiasi soddisfazione. Da tutti era giudicato uno posato, quasi superiore a tutti con i suoi atteggiamenti.

Quando la sua famiglia aveva cambiato casa, andando ad abitare uno di quegli appartamenti nuovi, lontano da quel vecchio quartiere, nessuno praticamente aveva sentito la sua mancanza, anche se certe volte qualche compagno lo aveva immaginato ai bordi di un altro polveroso campetto da calcio, proprio come quello che loro avevano sempre avuto, e a starsene lì, quasi indolente, come aveva sempre fatto.

Si fece vedere soltanto un giorno con la sua bicicletta nuova, quasi sorridente nel mostrarsi agli altri, come se la sua strada avesse finalmente preso il percorso che lui aveva sempre desiderato. Qualcuno gli aveva lanciato un saluto, senza insistenza, e lui aveva risposto appena con un cenno della testa, e allora gli avevano chiesto come andavano le cose, come se la cavava nel nuovo ambiente, ma lui si era schernito e non aveva detto quasi nulla di sé. Poi tutti avevano ripreso a giocare col pallone, come sempre, e così gli avevano chiesto di fare l’arbitro della partita, facendolo accettare, tanto che nessuno seppe spiegarsene il motivo, ma quel giorno ognuno di loro aveva cercato di dare il meglio di se stesso, come sapendo che quello sarebbe stato un giorno unico, particolare, come forse non ce ne sarebbe mai stato uno simile.

Bruno Magnolfi

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