mercoledì 15 agosto 2012

Diverso dal consueto.


Ero uscito da casa mia per tempo: essendo invitato ad un pranzo di una certa importanza presso la residenza di una famiglia in vista della città, non volevo in nessun caso giungere in ritardo all’appuntamento, e quindi far pensare di me un’incapacità di giudizio adeguato a certe situazioni di indubbia rilevanza. Però non avrei mai neppure voluto arrivare da quelle persone con un anticipo tale da mettere a disagio i proprietari dell’appartamento, così durante la strada che avevo da percorrere a piedi, in considerazione della relativa vicinanza, mi ero avviato con un ritmo lento da tranquilla passeggiata, fermandomi addirittura in un caffè dove ero conosciuto per le numerose frequentazioni, e dove intendevo fare giusto due chiacchiere con il cameriere che conoscevo bene e da parecchio tempo, e magari bere qualcosa per prepararmi al pranzo.

Siamo eleganti, aveva detto lui con ironia vedendomi; ed io mi ero schernito trovandomi leggermente a disagio, a dire la verità, con quella cravatta e il vestito migliore dell’armadio, che aveva peraltro riposato già parecchi mesi dall’ultima volta in cui aveva preso aria. Il cameriere continuava a sorridere come tra sé mentre mi preparava un bel bicchiere di pernod, ed io, cercando di riprendermi da quello smacco, allentavo con un gesto di finta stizza il colletto della camicia ed il nodo alla cravatta. Di certi impegni ne farei anche a meno, dicevo dopo il primo sorso dell’aperitivo, ed il mio amico in giacca bianca annuiva senza aggiungere nient’altro.

Piuttosto, avrei voglia di rimanere qui per tutto il giorno, continuavo a dire giusto per aggiungere qualcosa. Ho l’impressione che durante il pranzo a cui sono invitato mi sentirò a disagio per tutto il tempo, almeno fino a quando non riuscirò a venirne via. Tenere un buon contegno ed alimentare la conversazione con argomenti scelti non è semplice, specialmente se non ne hai affatto voglia, diceva il cameriere mentre mi versava il secondo pernod, tanto per infondermi il coraggio necessario ad avviarmi verso quella casa, ed io intanto gli spiegavo che non avrei proprio dovuto fare una brutta figura con quei signori, che già in passato mi avevano più volte invitato e intendevano probabilmente farlo ancora nel futuro.

Poi, nel locale, arrivavano alla spicciolata altri clienti, ed io, sempre seduto al bancone ed osservando con indolenza ogni tanto l’orologio, decidevo che mi sarei mosso da lì non prima di aver buttato giù un altro aperitivo. Così facevo, difatti, e subito dopo, con gesti lenti e svogliati, pagavo quanto era dovuto al cameriere, lo salutavo con un gesto, e mi avviavo, pur senza alcun desiderio di muovermi da lì, rendendomi conto che quell’alcol a digiuno mi aveva già procurato dei leggeri giramenti della testa. Ciò nonostante mi incamminavo senza preoccuparmi di nient’altro, arrivando a suonare il campanello del portone nella casa in cui ero atteso, con un orario molto probabilmente già sballato. Guardavo ancora una volta l’orologio mentre entravo nell’appartamento, e mi rendevo conto di essere in ritardo almeno di mezz’ora.

Stringevo la mano ai proprietari scusandomi con parole vaghe per quel leggero contrattempo, e mi rendevo conto all’improvviso di avere ancora la cravatta e la camicia allentate al collo, probabilmente come un volgare uomo di fatica. Non vi preoccupate, dicevo allora con coraggio: sono semplicemente fatto in questa maniera; non dovete pensare che assuma un atteggiamento in vostro favore oppure contro di voi, sono fatto così, ne dovete essere consapevoli, altrimenti sarei soltanto falso nel cercare di essere diverso.

Bruno Magnolfi


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