Fuori da qui non c’è niente, mi dico, niente che possa minimamente interessarmi; osservo la strada dalla mia finestra per sincerarmene, e sento di odiare tutto ciò che laggiù si muove, il traffico e ciò che continua ad andare avanti e indietro, senza sosta. Scosto la tenda con circospezione, guardo la palazzina di fronte al mio piccolo appartamento, ci sono alcuni vasi di fiori ai davanzali, e i fili di plastica con i panni stesi ad asciugare, le serrande quasi tutte abbassate, ad evitare sguardi indiscreti, e solo un infisso aperto, a far prendere aria qualche stanza.
La porzione di cortile che vedo da qui è deserta, adesso, ma lungo il marciapiede là vicino ci sono diverse persone che passeggiano, o che si recano verso i loro affari, a sbrigare le faccende che ogni giorno impegnano tutta quella gente. Potrei essere diverso da come sono, penso; potrei essere indifferente verso chiunque si metta a camminare sopra quel marciapiede, lungo quella strada, quasi sotto a questa mia finestra. Potrei pensare che tutto è normale, per esempio, che va tutto bene procedendo in questo modo, e disinteressarmi di ogni altro aspetto, richiudere la tenda della mia finestra, versarmi un bicchierino di acquavite, sedermi sopra la poltrona e godermi la vita e queste giornate calde e intense, dai pensieri forti, solo apparentemente febbricitanti.
Invece non riesco ad essere così, per quanto possa sforzarmi. Guardo la strada, il cortile, la facciata della palazzina che ho di fronte, e mi pare non ci sia niente che vada bene in ciò che vedo, almeno non come lo vorrei. Vado in cucina, mi verso un bicchiere d’acqua fresca, cerco di stemperare il subbuglio che provo dentro me; poi ancora mi sforzo, cerco addirittura di pensare ad altro, di svagarmi con qualche idea lasciata apposta per occasioni come questa. Ma non riesco a far andare avanti le cose in altro modo, per quanto mi impegni, giri per casa, cerchi di evitare la finestra, di interessarmi agli altri, a quei comportamenti che hanno tutti, così normali da riuscirmi assolutamente ripugnanti.
Torno a scostare la tenda, resto in piedi a lungo accanto ai vetri, osservo ancora tutto quanto, percepisco l’odio che mi corre dentro al corpo senza che possa farci niente. Infine impugno una sveglia di metallo rimasta sopra al tavolo, torno ad osservare la finestra aperta della palazzina qua di fronte. Non c’è più l’ombra di un pensiero dentro me, nessuna riflessione, solo un istinto smisurato che non permette alcuna razionalità. Apro i vetri, e con tutta la forza che il mio braccio riesce ad imprimergli, scaglio questa sveglia pesante contro quell’appartamento. Poi mi siedo; va bene così, penso, e del resto non potrebbe proprio andare in nessun’altra maniera.
Bruno Magnolfi
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