venerdì 3 settembre 2010
Fuori e dentro ai pensieri di sempre
Da tempo non stavo affatto bene da alcuna parte. Cercavo di mantenermi calmo, ma il problema si presentava continuamente: il mio passato in mezzo ai miei pensieri diventava ogni giorno più ingombrante, tanto da non farmi dormire, da lasciarmi inquieto e angosciato in ogni momento del giorno e anche della notte. Camminavo per tutta la città per cercare di distrarmi, ma non serviva a un bel niente.
Il fatto è che mi mancava un vero motivo per tirare avanti. Svolgevo il mio lavoro di magazziniere senza quasi parlare con nessuno, e il tempo libero lo passavo da solo. Così quando conobbi quella ragazza mi infilai dentro la storia senza neppure stare a pensarci. Io non le chiesi un bel niente e lei non chiese un bel niente neanche a me.
Veniva ad aspettarmi ogni tanto all’uscita dal lavoro con la sua macchina, una vecchia carretta scarburata, e si andava da me per starcene lì un paio d’ore, mai di più. Diceva a un certo punto che doveva andar via e anche a me andava bene così. Sembrava non avessimo molte parole da dirci, e ci sentivamo forti di questo. Per il fine settimana lei non c’era, così spesso io mi infilavo in una sala giochi e puntavo su qualche cavallo che tagliava il traguardo sempre a festeggiamenti ultimati.
Quando mi sdraiavo mi tornavano a mente gli anni che avevo passato in galera. Fino a che ero stato là dentro me l’ero cavata, avevo evitato centinaia di problemi con gli altri. Era stato difficile sopravvivere: considerare ogni piccolo accenno, ogni rumore, ogni parola detta con un tono leggermente diverso dal solito, e così via. La galera era questo, guardarsi sempre le spalle non da quello che riesci a comprendere, ma da ciò che non sai. Era stato lì che ero diventato taciturno e solitario. Quando era uscito ero sicuro che niente mi avrebbe fatto paura.
Ma adesso al contrario non volevano uscirmi più dalla testa quelle facce, quei modi, quel tenerti sempre sulle spine, il trattarti continuamente come chi non sa o non ha capito qualcosa. Era un po’ la stessa faccenda con la mia ragazza, pensavo, ma quello che non avevo capito con lei era la cosa finale che c’era in ballo. Me lo fece capire tutto insieme quando mi disse che dovevo aiutare lei e certi suoi amici per una rapina. Non potevo astenermi, sapevano già troppe cose sul mio conto, me l’avrebbero fatta pagare. Va bene, dissi io senza scompormi, e mi feci dire tutto ciò che serviva.
Poi la domenica andai alla solita sala giochi. Mi sarei dovuto incontrare con gli amici della ragazza nei giorni seguenti, per accordarci sul piano e sugli altri dettagli. Ma il mio cavallo decise di vincere quel giorno, e mi ritrovai qualche soldo. Non ripassai neanche da casa. Salii sopra un treno e filai via, tanto quello che facevo in quella città potevo farlo da qualsiasi altra parte, e in fondo avevo solo bisogno di una piccola spinta per ripartire sul serio.
Bruno Magnolfi
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