giovedì 30 settembre 2010
Semplici procedure di ogni giorno
Il suo ufficio era al quarto piano di quel palazzo, mancava soltanto mezz’ora alla fine dell’orario di lavoro e lui non riusciva a pensare nient’altro che ai gesti che avrebbe compiuto appena scaduto quel tempo: spegnere il computer, chiudere a chiave il primo cassetto della scrivania, prendere la sua giacca appesa in un angolo e uscire nel corridoio. Erano i gesti che faceva ogni giorno, quasi un meccanismo perfetto, equilibrato, completo in ogni dettaglio. Eppure, dopo tutti quegli anni, all’improvviso pareva che qualcosa fosse venuto come a mancargli. Avrebbe premuto il pulsante dell’ascensore se non lo avesse già fatto un collega prima di lui, oppure, se fossero stati già troppi i clienti, avrebbe sceso a piedi le scale, velocemente, poi una volta strisciato il suo badge nella fessura della macchina, finalmente avrebbe raggiunto la sua auto nel parcheggio aziendale e l’aria aperta.
Rifletteva sull’esecuzione di tutta quanta la procedura ma adesso si sentiva più che sicuro che qualcosa era diverso in ciò che avrebbe dovuto portare a compimento. Si alzò dalla sua poltroncina girevole quasi senza rendersi conto di cosa stesse facendo. Con le mani accennava i gesti che avrebbe compiuto di lì a poco, poi aveva spalancato la porta ed era uscito nel corridoio, aveva camminato fino al pannello scorrevole dell’ascensore e a quel punto si era reso conto di non aver portato con sé la sua inseparabile valigetta per i documenti. Tornò allora nella sua stanza, guardò accanto alla cassettiera e vide che la valigetta era lì, dove in genere la sistemava ogni mattina. Perfetto. Ma la chiave che chiudeva il cassetto non c’era.
Guardò immediatamente dentro al cassetto, poi sopra al piano della scrivania, tra la tastiera del suo computer, le matite, i pacchi di fogli e di cartelline, ma niente. Infine, con una sudorazione leggera che sempre gli prendeva alle mani in casi del genere, guardò dentro la tasca della sua giacca che ancora era appesa, e con sollievo si accorse che era lì. Così chiuse immediatamente la cassettiera, come per fare una cosa compiuta, ma poi si rese conto che ancora doveva metterci dentro tutte le pratiche più importanti, quelle sulle quali era meglio che nessuno all’infuori di lui mettesse le mani, così le cercò, ma si erano come confuse e alla fine pensò che poteva benissimo metterle nella sua valigetta anche all’ultimo minuto, e intanto chiudere bene quel benedetto cassetto.
Così fece, e intanto aveva anche indossato la sua giacca e riposta la chiave dentro la tasca, tanto per non tornarci più sopra, poi aveva sollevato la sua valigetta, ma quando era giunto ad aprirla si era subito reso conto che era già piena di tante altre cose, tutte importanti, che aveva momentaneamente come dimenticato. Il grande orologio nel corridoio lasciò sovrapporre le lancette ad indicare a tutti gli impiegati del piano che il loro orario era così terminato, lui vide passare davanti alla sua porta aperta tutti i colleghi che si sbrigavano in direzione dell’unico ascensore disponibile, e quasi non ebbe fastidio al pensiero che quella sera avrebbe dovuto fare le scale.
Intanto, con gesti nervosi, aveva quasi svuotato la sua valigetta mettendo tutto sul piano della scrivania, ma si era subito reso conto che non avrebbe mai potuto lasciare le cose così, e quindi iniziò a riordinarle, sistemandole per nome e per importanza, poi, con un gesto deciso anche se doloroso, tirando fuori la chiave dalla sua tasca, riaprì la cassettiera. Iniziò così ad infilarci le cartelline, ma siccome si sentiva impacciato e accaldato si tolse la giacca. Infine chiuse il cassetto, chiuse anche la valigetta, raggiunse la porta con un balzo quasi per recuperare qualche minuto, e proiettò la sua mente già fuori da lì, perché non voleva assolutamente che qualcuno lo immaginasse in una qualche difficoltà.
Prese di fretta il corridoio ormai sgombro e arrivò velocemente fino all’ascensore che adesso era libero e in un attimo fu giù, semplicemente, a strisciare il suo badge nella fessura. Ma solo allora si accorse di aver dimenticato la sua giacca all’appendiabiti con dentro peraltro la chiave dell’auto, così dovette tornare al quarto piano e rivedere tutto quanto da capo, compresa la chiusura della cassettiera e il contenuto della valigetta.
Il capoufficio non disse niente quando lo vide sudato e confuso, però non ne ebbe una buona impressione.
Bruno Magnolfi
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