mercoledì 1 settembre 2010
In compagnia della solitudine
Mentre tornavo in città con la mia auto mi chiedevo ancora il motivo della voglia che mi era presa di trascorrere quel pomeriggio domenicale nella casa di campagna di quei miei amici di vecchia data. Ero arrivato da loro in quel primo pomeriggio, dopo avergli fatto una semplice telefonata, e ci eravamo piazzati a goderci il sole nell’ampio giardino, parlando di tutto, lasciandoci andare a tutto quello che ci veniva alla mente. Poi, come spesso mi capita, mi era presa la voglia di andarmene via, nonostante loro insistessero a trattenermi per cena, così mi ero inventato una scusa qualsiasi, e dopo grandi saluti ero risalito sulla mia macchina. Ma dopo pochi chilometri, al bordo della piazza del primo paese che si incontra lungo la strada, avevo parcheggiato, tanto per fare qualcosa, ed ero entrato in un bar, uno di quelli senza pretese, dove qualche anziano gioca alle carte.
La verità era che non avevo alcuna voglia di tornare nel mio appartamento dove abitavo da solo, affrontare la serata senza alcun programma e magari finire di intristirmi del tutto davanti al televisore. Così mi ero piazzato a sedere con in mano un bicchiere di vino, alle spalle di alcuni che giocavano a briscola, ed in breve mi ero lasciato prendere dalle loro strategie e dal loro entusiasmo. Ero rimasto lì anche quando avevano smesso e se n’erano andati, affondando gli occhi in un vecchio giornale e continuando a sorseggiare il mio vino. Quando avevo riacceso il motore della mia auto ormai era tardi, e un senso di fame si era improvvisamente fatto strada dentro di me, reclamando sia per il semplice panino del pranzo, sia per l’ora di cena ormai già alle spalle.
Ciò nonostante rientravo in città senza fretta, osservando le luci della città che mi venivano incontro, e mentre attraversavo un quartiere ancora molto distante dal mio appartamento, vidi ad un tratto le insegne ben accese di una trattoria ancora aperta, un posto dove non ero mai stato. Mi fermai, chiesi se era possibile mangiare qualcosa, mi fu risposto di si, entrai sedendomi ad un tavolino di legno, tra una coppia in discussione davanti al caffè e un gruppetto di ragazzi che tiravano tardi raccontando storielle.
Chiesi qualcosa di pronto e mi fu servito, poi concentrai i miei pensieri su quella giornata un po’ assurda. Mi capitava spesso di cenare da solo, e ne ero contento, lo trovavo un gesto importante, a volte mi sembrava quasi un premio quel momento che mi concedevo. Gli altri in genere rimanevano tutti distanti di fronte a quella mia scelta, invece per me era quasi motivo di orgoglio.
Mi feci portare un caffè una volta terminato, poi senza essermene accorto, mi cadde il tovagliolo dal tavolo. Il cameriere lo prese, me lo porse, io dissi grazie, ma quando lo guardai mi venne di dirgli che non aveva alcuna importanza per me una cosa del genere, perché non c’era niente che mi mancasse davvero, anche le cose che a volte perdevo non tornavo mai a ricercarle; forse continuavo a girare dentro qualcosa ormai definito senza sapere neppure cosa fosse a trascinarmi in avanti: forse non lo sapevo, ma doveva proprio essere in quella maniera, pensavo, vivere la solitudine; forse non c’era neppure un’altra maniera per viverla. Così pagai il conto, mi alzai salutando con cortesia il cameriere, ed uscii dal locale, pronto per qualsiasi altra cosa.
Bruno Magnolfi
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