Stava fermo, nella piazza, le mani sprofondate dentro le tasche, il cappello calato sugli occhi, come in attesa. Era difficile immaginarsi cosa stesse pensando, per quale motivo fosse lì, se stesse davvero aspettando qualcuno, come si poteva forse presumere. Poi se ne andava, come rispondendo a un segnale, senza un motivo apparente che mostrasse in qualche maniera la sua decisione di andarsene via, in contrasto con quella di essere rimasto lì fino ad allora, immobile su quella piazza, quasi come un automa. Se ne andava e basta, scivolando via senza rumore, in modo leggero, impalpabile. Bastava attendere, poi te lo ritrovavi di nuovo durante un giorno qualsiasi, nella stessa posizione di prima, più o meno, col cappello ed il resto, niente di diverso da qualsiasi altra volta.
I ragazzi giocavano a rincorrersi quasi ogni giorno su quella piazza, e nelle belle giornate qualche donna portava dei bambini ancora piccoli a passeggio da quelle parti. Lui osservava tutto, con indifferenza, come non ci fosse realmente qualcosa che lo interessasse, e tutto gli scivolasse vicino, senza sfiorarlo. Certe volte qualcuno dei ragazzi gli chiedeva che ore fossero, o cose del genere; scusi, signore, gli diceva uno del gruppo: può dirmi l’ora? Lui osservava il ragazzo come ne vedesse uno per la prima volta, senza per questo restarne impressionato, e infine diceva: le quattro, evitando persino di consultare il suo orologio; poi voltava lo sguardo verso un altrove che solo lui riusciva a vedere, disinteressandosi del resto.
C’era stata una donna, quel giorno, a passeggio là attorno, a sentire i raggi del sole primaverile che scaldavano già, piacevoli sopra la faccia quando ti sedevi sulla panchina. Lui l’aveva notata, si era acceso una delle sue sigarette, poi si era preoccupato di un altro scorcio, di una visuale diversa. Lei, lì vicino, aveva fatto passare qualche minuto; lo conosceva, sapeva anche dove abitava, e così aveva detto: buono questo punto d’osservazione; si tiene sott’occhio tutta la piazza da qui, ci si rende conto di quanto succede.
L’uomo era rimasto in silenzio, aveva tirato una boccata di fumo dalla sua sigaretta, muovendo con una lentezza estenuante la mano che la sosteneva; poi si era voltato di nuovo dall’altra parte, come se quel discorsetto non fosse stato neppure rivolto verso di lui. E’ vero, aveva detto alla fine, quasi tra sé, come non trovasse un’osservazione diversa da fare, e non fosse per nulla abituato a pensare delle cose evidenti fino a quel punto. Poi si era voltato verso la donna, che era rimasta ferma, come ad attendere ulteriori sviluppi; l’aveva osservata, ma più per non apparire scortese che per vero interesse verso di lei, e quasi sottovoce aveva aggiunto: lei è molto bella, come ad evidenziare il fatto che se dalla sua posizione si poteva osservare la piazza, in realtà il centro saliente di tutte le cose restava comunque una persona come forse era lei in quel momento.
La donna aveva sorriso, forse le era venuto il desiderio spontaneo di avvicinarsi di più a lui, o di invitarlo a sedere sulla sua stessa panchina, al suo fianco, ma non lo fece. L’osservò ancora un momento, poi si volse verso una parte distante della piazza dove c’era un caffè coi tavolini all’aperto, e degli uomini stavano discutendo qualcosa, senza che peraltro si riuscisse da lì a sentire i loro discorsi. Allora l’uomo gettò a terra il mozzicone della sua sigaretta, e con calma si incamminò, senza dire altro, come se tutto fosse già stato spiegato, e non ci fosse necessità di aggiungere alcuna parola, niente che non fosse già in evidenza là attorno.
Bruno Magnolfi
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