Certe volte giro per strada, incontro persone differenti tra loro, ma in genere a me paiono identiche, indifferenti ai pensieri che ho, quasi come se io non esistessi neanche. Altre volte avverto una specie di leggera ostilità da parte di tutti, della quale fortunatamente riesco a sentirmi distante, quasi come non mi riguardasse per nulla. Ma i momenti maggiormente importanti, a cui aspiro di più, durante i quali reputo che la mia mente si liberi da ogni legame e che i miei passi sui marciapiedi assumano davvero connotazioni importanti, è quando riesco a sentirmi completamente da solo e circondato dal niente, come se la realtà fosse una semplice stanza, un ambito vuoto con le quattro pareti dipinte di bianco. Mi guardo attorno, ma soltanto per un semplice vezzo, sorrido della mia capacità di estromissione dal resto, indico un punto nel vuoto e mi dirigo verso quel punto, senza neppure una ragione precisa.
Qualcuno dice di me che non sono normale, ma questo non ha alcuna importanza, tutto andrà bene, penso, alla fine riuscirò a sentirmi perfettamente a mio agio, a cancellare ciò che circonda i miei passi e la mia stanza bianca. La mia vista si offusca, intorno a me una nebbia fittissima copre ogni cosa, ed io mi sento leggero, capace di librarmi nel vuoto pneumatico che ho intorno. In alcuni casi, mentre penso a queste mie cose, vado a sedermi in un bar, tanto per far passare un po’ il tempo, e resto a lungo davanti ad una tazza di tè, con qualcosa da leggere che non manca mai nelle mie tasche. Nessuno mi nota, io abbasso lo sguardo su un articolo di giornale o su uno dei libri da poco prezzo che acquisto ogni tanto, e lascio che tutto vada avanti, senza preoccuparmi di niente.
Una sera mi avvicina una donna, e chiede cosa mai stia leggendo. Un libro poliziesco, rispondo, senza darle troppo la corda. Lei mi chiede se è mio solito andare in quel locale a leggere libri, ma io rispondo che mi capita a volte, e nient’altro. Lei sorride, poi dice con timidezza che scrive poesie, le hanno anche pubblicate su qualche rivista. Io alzo la testa e piego una pagina, per segnare il punto a cui sono arrivato; poi sottovoce le dico: mi piacerebbe leggerle, io leggo di tutto, mi piace soffermarmi sulle parole, trovare che qualcuna è più azzeccata di altre, e via dicendo. Lei mi guarda, la invito a sedersi, chiamo il cameriere e faccio portare altro tè. Poi dice che il suo problema è la solitudine, si sente meglio quando incontra qualcuno come me, con il quale scambiare qualche parola. Io replico che generalmente sto bene da solo, però certe volte faccio eccezione.
Lei recita a mente, con una certa lentezza, una delle sue poesie, ed io le rispondo, con il medesimo tono di voce di prima, che mi sembra bellissima. Si schernisce, dice che adesso deve proprio andarsene, ma se voglio, possiamo vederci il giorno seguente in quel medesimo bar, e magari può portare con sé qualcuna delle sue poesie. La saluto, mi spiego: è stato un piacere conoscerla, sarò contento di leggere le sue cose, e intanto mi alzo, dico il mio nome, le stringo la mano. Lei si allontana, io aspetto ancora dieci minuti, poi pago il tè al cameriere, e infine esco. La mia stanza bianca riprende le fattezze di sempre, i miei pensieri riprendono a circolare in maniera normale. Mi dispiace, penso con calma, per qualche giorno non potrò più farmi vedere in quel bar; ma non importa, rifletto: la città è piena di posti simili a quello.
Bruno Magnolfi
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