giovedì 26 aprile 2012

Lo studio della fiducia.



Il signor Piero non si sentiva particolarmente a suo agio varcando la soglia dell’edificio che ospitava la biblioteca pubblica del suo quartiere, ed un sottile malessere generalizzato sembrava continuare a rendergli tutto un po’ più difficile di quanto gli era parso in un primo momento. Si era riproposto di cercare là dentro delle informazioni riguardo ad un personaggio piuttosto noto nella storia della cultura nazionale; suo figlio, nei giorni appena trascorsi, aveva portato avanti, secondo lui in maniera superficiale e svogliata, una ricerca scolastica intorno a quel letterato vissuto nel secolo precedente, e quella sera, una volta a casa, il signor Piero si era ripromesso di porgli delle domande in modo da appurare il suo grado di preparazione su quell’argomento. Ma il piglio deciso con il quale fin dal mattino, una volta terminato il suo orario di lavoro, si era ripromesso di passare da quella biblioteca per informarsi su tutto quanto gli era possibile, proprio per padroneggiare appieno quella materia, era andato nel corso del giorno a sfumare poco per volta, fino a farlo sentire a disagio, come fosse una stupidaggine il suo sforzo, quasi privo di qualsiasi importanza, e lui non fosse neppure all’altezza di portare avanti un’incombenza del genere.

Si era sentito, col trascorrere delle ore, incapace di affrontare quella faccenda, inadatto a studiare e a prendere appunti sui testi che avrebbe voluto consultare, quasi non all’altezza di quel tipo di compito. Adesso poi che era entrato là dentro, che si era ritrovato a calpestare le lastre di marmo bianco di quel pavimento, aveva come provato un’insopportabile pesantezza della cultura racchiusa in quei vani, qualcosa che ne mostrava la grande distanza da sé, e quando qualcuno del personale gli aveva chiesto di compilare una scheda e di mostrare un documento di identità, lui si era sentito spacciato, inadeguato a portare avanti quei suoi propositi. Aveva avvertito l’importanza dei volumi e dei libri che giacevano impilati sugli scaffali, e anche quella dello sterminato numero di parole di cui sembravano piene la carta e tutte le pagine, tanto che gli pareva adesso risuonassero contemporaneamente, come recitate da mille oratori, disperse nell’aria degli spazi ovattati di tutte quelle sale di consultazione.

Faceva caldo là dentro, il signor Piero si sentiva la fronte sudata; aveva aperto alcuni schedari, e con maniera nervosa, tra gli innumerevoli nomi in perfetto ordine alfabetico, aveva cercato l’autore che lo interessava, tanto da trovare in breve tempo più di dieci pubblicazioni che riguardavano quell’argomento. Si era fatto consegnare a caso tre tomi, compilando con agitazione gli appositi moduli, e si era piazzato su un grande tavolo di legno per consultarli, ma quella cosa che nella sua mente gli era parsa semplice e addirittura normale, retaggio dei tempi in cui anche lui era studente, adesso lo stava riempiendo di un preoccupante imbarazzo, quasi come prendere coscienza di sentirsi addirittura incapace a capire.

Aveva continuato a leggere qualcosa qua e là, aveva sfogliato le pagine senza soffermarsi su niente di particolare o specifico, aveva appurato perfettamente che l’argomento era lì, sotto ai suoi occhi, ma che lui non riusciva ad estrapolarlo dalle pagine di stampa, non era capace di trovarne l’essenza, la radice profonda. Pareva come se una lastra di vetro pesante gli impedisse di toccare con mano gli argomenti che avrebbe tanto voluto conoscere, come se fosse inidoneo a studiare quella materia, a imparare qualcosa di nuovo, quasi propriamente a leggere quelle frasi erudite.

Infine Il signor Piero aveva restituito quei libri, sconsolato era uscito dall’edificio della biblioteca, e lentamente aveva preso la strada per tornarsene a casa, con la testa ormai così vuota da non riuscire più neppure a riflettere sulla cosa migliore da fare. Certo, non era contento del suo comportamento, però adesso pensava che non c’era niente da fare, e che a volte capita di scoprirsi inadeguati a certe soluzioni. Aveva comunque deciso: rientrando in casa non avrebbe fatto alcuna domanda a suo figlio, era questa l’unica risoluzione a cui alla fine era giunto: si sarebbe limitato a chiedergli se la sua preparazione fosse adeguata, e se la sua ricerca avesse semplicemente dato un buon frutto; per il resto, non c’era nient’altro da fare, si sarebbe dovuto fidare di lui.

Bruno Magnolfi

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