Gli ospiti si erano ritirati quasi tutti nelle proprie camere, naturalmente aiutati dal personale della casa di riposo a sistemarsi nel miglior modo possibile per passare bene la notte. Soltanto due vecchietti, sopra le loro sedie a rotelle, si erano attardati a dormicchiare nella sala della televisione, ma sicuramente non ne avevano per molto, e tra pochi minuti avrebbero anche loro fatto suonare il campanello per essere portati nelle loro stanze.
Passando lungo il corridoio, Paolo li aveva osservati da dietro, ed era stato quasi sul punto di dire loro che era tardi, e che forse era il caso di ritirarsi nelle loro camere, ma poi aveva lasciato correre; in fondo, aveva riflettuto, non era certo un problema se restavano ancora un po’ nella saletta. Era il suo turno di notte; quello che gli capitava ogni tre giorni, e forse gli piaceva un po’ quella variante, restarsene là dentro, in quella clinica, invece di tornare dritto a casa sua come gli altri giorni: avvertire la lentezza del tempo che in quell’edificio scivolava inesorabilmente nella profondità della notte, più che in qualsiasi altro posto, e girare ancora lungo i corridoi per sentire su di sé la responsabilità di tutto il luogo. I suoi colleghi medici, al contrario di lui, normalmente sbuffavano quando era il loro turno, come se avessero da affrontare chissà quale sacrificio. Paolo, al contrario, si portava un libro, si preparava una tisana, assaporava il silenzio della sua cameretta, e lasciava che le cose dolcemente proseguissero fino al sonno, come dentro una fiaba.
Nella stanza del personale erano rimasti soltanto un’infermiera e un inserviente giovane, e anche loro stavano approntandosi a passare la serata e la notte, leggendo qualcosa sopra le loro poltroncine, o guardando la televisione col volume quasi impercettibile, tanto lo sapevano che durante quelle ore sarebbero dovuti intervenire almeno quattro o cinque volte, tanto valeva non provarci nemmeno a chiudere gli occhi e a cercare di dormire. Per i medici invece era diverso: quello di turno si sistemava nella propria cameretta e riposava, almeno fin tanto che non si fosse presentata qualche situazione grave, ma questo accadeva ben di rado.
Paolo aveva detto all’infermiera qualcosa senza grande importanza, mentre lei si alzava per andare a sistemare gli ultimi vecchietti, e poi, dopo qualche minuto, si era mosso per andare a controllare se per caso ci fossero problemi, e se la televisione fosse stata spenta, ma con sorpresa si era reso conto che nella saletta c’era rimasto un ospite, uno dei due, un uomo molto anziano, giunto nella casa di riposo da poco tempo, e che adesso stava lì, sulla sua sedia, ad osservare dalla finestra il giardino buio attorno all’edificio. Allora Paolo si era avvicinato con calma, gli aveva toccato un braccio per assicurarsi che fosse sveglio, regalandogli subito un sorriso, come a sottolineare che non era l’ora adatta per guardare fuori dalle finestre e per perdere tempo in quella maniera.
L’altro si era voltato, lentamente, come se stesse ritornando da pensieri lontanissimi, aveva guardato il medico per un attimo negli occhi, poi sottovoce aveva detto: non si preoccupi per me, va tutto bene; sto soltanto cercando di sbirciare qualcosa di cui non ho neppure un ricordo preciso, ma sono certo che c’è, che è là fuori, da qualche parte, e sono convinto che prima o poi riuscirò a scoprire dove si nasconde. Forse, le possono sembrare argomenti assurdi i miei, privi di un fondamento razionale, e probabilmente è vero; ma quando si arriva alla mia età si deve correre per forza dietro a qualche cosa, qualsiasi cosa sia, prima che la notte avanzi e chiuda il cerchio.
Bruno Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento