Gli stracci per pulire sono sistemati sopra lo scaffale all’interno dell’armadietto per le scope, sul terrazzino che si apre dietro la cucina del piccolo appartamento. Ad Ernesto gli piace uscire là fuori almeno per un attimo, ogni tanto, sentire l’aria fresca sul viso, osservare uno scorcio di strada, quello che si riesce a vedere da lì, dal terzo piano di quel palazzetto poco caratteristico, senza ascensore, che a volte lo costringe a fare diversi viaggi per portare fin dentro casa, dai negozi di quel quartiere, tutto quello che serve. C’è qualcosa di strano dietro quella piccola ringhiera di ferro, come se una sconosciuta magia, in quei momenti, lo portasse lontano, almeno per poco, lontano comunque dalle solite cose che deve affrontare ogni giorno.
Quando lui rientra in casa, dopo aver fatto le compere, chiudendo piano il portoncino dietro le spalle, Teresa resta in silenzio, ma generalmente lui ha il fiato un po’ grosso per la sfacchinata di portare su quelle buste piene di cose che servono; lei si limita a guardarlo dal suo letto da invalida, dal quale non riesce più a separarsi, sbirciandolo in quello spicchio di ingresso che è ancora capace di vedere dalla sua camera. Tutto bene?, dice Ernesto mentre si toglie la giacca, ogni volta che torna; e lei, subito risponde: uguale; e ambedue dicono queste parole in maniera sempre identica, come se quello fosse un codice loro, affidato all’intonazione della voce, più che alle frasi, un sistema messo a punto in quasi cinquant’anni di matrimonio e di abitudini a tutto. Le medicine di lei sono sistemate bene in ordine, e sopra la lavagnetta Ernesto scrive sempre: che cosa, in quale giorno, e a che ora, in modo da non dimenticarsi di niente. Tra poco arriva l’infermiera dell’assistenza, lui può tirare un po’ il fiato, mettersi di là col giornale, rilassarsi almeno mezz’ora.
Certe volte Ernesto pensa che tutto sia assurdo, anche se riesce quasi sempre a scacciare velocemente questo pensiero dalla sua testa, un po’ meno in questi ultimi tempi, da quando ha iniziato sempre più spesso a rintanarsi su quel terrazzino, ad osservare quello scorcio di strada, quel cortiletto sul retro, a starsene lì, in piedi, anche senza un vero motivo. Qualche volta si è anche fermato a guardare Teresa mentre dormiva: ha immaginato, con gran sofferenza, di farle un’iniezione, darle qualcosa che non la facesse svegliare mai più, ma non ne avrebbe il coraggio, non sono cose per lui, anche se riconosce che quella non è vera vita, soltanto un surrogato di un mondo che forse conserva appena il sapore di tempi che non torneranno mai più.
Così si accontenta di starsene qualche volta su quel terrazzino, Ernesto, cercando di non pensare a un bel niente, perché tutti i pensieri che in quelle volte gli passano dentro la testa, non sono mai quelli giusti. Si mette a sfornellare qualcosa in cucina, e riflette su quanto siano cadenzate le sue giornate: il pranzo, la cena, l’ora del sonno, le medicine da somministrare in certi precisi momenti. Ad un tratto Ernesto si accorge che gli manca qualcosa: scendo un attimo al negozio di generi alimentari, dice a Teresa mentre indossa la giacca. Quindi esce, anche se torna il più velocemente possibile, sa che non deve lasciare Teresa a lungo da sola, ma quando, chiusa la porta, chiede il solito suo: tutto bene?, avverte un’intonazione diversa nella sua voce. Prova un piccolo brivido, forse Teresa se ne sarà accorta, pensa; forse no. Qualcosa pare incrinarsi, anche se solo per un lungo momento; ma lei dice: uguale; come sempre, come dice ogni volta, ma forse soltanto perché sa che una cosa diversa è assolutamente impossibile.
Bruno Magnolfi
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