Non mi
sento bene, aveva detto Luisa mentre camminava al braccio del marito,
impegnata in una delle loro passeggiate domenicali lungo il giardino
comunale poco lontano da casa. Forse è sufficiente che mi sieda su una
panchina, aveva aggiunto, indicandone una là accanto, in uno spiazzo a
ghiaia con la fontanella centrale. Mi basta qualche momento, lo aveva
rassicurato mentre prendevano posto, forse mi è sufficiente chiudere gli
occhi e lasciarmi scaldare da questo bel sole pomeridiano mentre tu
sfogli il giornale, come fai sempre.
Così aveva
appoggiato la testa sullo schienale, e chiusi gli occhi le erano
velocemente passate, in mezzo ai pensieri, diverse immagini strane,
quasi un proiettarsi della sua mente verso qualcosa che non conosceva o
che aveva dimenticato. C’erano altre persone, facce note e sconosciute, e
poi la vecchia casa dove aveva abitato tanti anni prima con i suoi
genitori, fino all’età dei venti anni, ma anche quella appariva senza
una logica, come se le stanze fossero tantissime, e ognuna immettesse in
un'altra, quasi senza limiti.
Nel suo
sogno Luisa chiedeva qualcosa, una minima indicazione, forse
rivolgendosi ad una zia o a qualche lontano parente, forse allo stesso
marito, ma tutti si limitavano a sorriderle e basta, come a volerla
semplicemente rassicurare, anche se in modo contraddittorio. Lei al
contrario si sentiva nervosa, agitata, sapeva di trovarsi in un luogo di
grande nostalgia, eppure contemporaneamente le pareva di non conoscere
affatto quel posto, come se tutto dei suoi ricordi fosse stato cambiato,
quasi si fosse apportato delle modifiche adatte a renderlo
completamente irriconoscibile, pur lasciando a lei la sensazione di
trovarsi ancora nell’appartamento dove aveva trascorso la sua
adolescenza.
Qualcuno
ballava divertito, lasciandosi notare oltre qualche porta socchiusa;
altri ridevano pur cercando di limitare le proprie espressioni, ed altri
ancora, infine, pareva incoraggiassero Luisa a girare, a visitare
quella casa immensa ma vuota, e quasi interminabile. Lei vagava senza
sapere verso dove né immaginando che cosa cercasse, forse desiderando
trovare i suoi genitori, ma era come se loro fossero assenti, quasi si
trovassero da un’altra parte, lontani da lì, trattenuti da chissà quali
impegni. Suoni e voci ovattate giungevano alle sue orecchie, e Luisa più
andava avanti e più assaporava un senso di sfida, come se niente di ciò
che erano i suoi ricordi di quel tempo, avessero ritrovato là dentro il
pur minimo fondamento.
Ad un
tratto gli pareva indispensabile fuggire da quel luogo, non era più
possibile trattenersi ancora in quella specie di casa: cercava la porta
di uscita, Luisa, ma un labirinto di stanze e corridoi le si parava
davanti, senza alcun segno indicativo. Sapeva che da qualche parte forse
l’attendevano i suoi genitori, ma era impossibile sapere dove, in quale
direzione. L’angoscia era palpabile, il bisogno di urlare quasi
incontrollato, e solo a quel punto Luisa si era svegliata da quel breve
sonno. Voglio rientrare, aveva detto in breve a suo marito. Non devi
preoccuparti, aveva aggiunto, sono soltanto confusa. I miei ricordi a
volte prendono strade che non conosco, e i miei pensieri non trovano
pace, ma non è grave, sarà sufficiente per me ritrovare la mia intimità,
le mie piccole cose: tutto tornerà a posto, ne sono sicura, e in poco
tempo le cose riprenderanno ad andar bene, vedrai, e sarà proprio come
se niente avesse mai davvero minato la nostra vita in comune.
Bruno Magnolfi
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