Lui
era entrato al caffè-lunch poco prima delle quattordici, ora di punta
per quella tipologia di locale inserito in un contesto da quartiere
dirigenziale di tipo avanzato. L’interno era giocato sostanzialmente
sulla superficie di tre materiali: legno di ciliegio, acciaio inox con
forme spigolose e taglienti, e soprattutto ritagli di specchi inseriti
in ogni contesto possibile, a riflettere le persone presenti decine di
volte, ingigantendo gli spazi e lasciando sconfinare gli sguardi oltre
ogni limite. L’esterno era tutto coperto da enormi ombrelloni bianchi e
quadrati, e al di sotto sedie e tavoli sempre in acciaio, con dei
parallelepipedi piccoli e grandi usati come fioriere cariche di piante
verdissime finte e improbabili, a delimitare tutte le aree. Dappertutto
ragazze eleganti, a volte vistose, e uomini giovani spesso in cravatta,
quasi come si desse un ricevimento a coronare un evento mondano. Entrare
significava mostrarsi alla vista di chi era presente, e percorrendo i
primi cinque o sei metri si camminava lungo una specie di passerella
d’acciaio, al centro esatto di tutti gli sguardi.
Lui
andava in quel locale ogni volta che gli era possibile, diceva che gli
pareva un posto pieno di donne, anche se alla fine non era la cosa che
lo attraeva di più; in realtà si sentiva estremamente a suo agio
all’interno del gioco di sbirciare e guardarsi nelle tante porzioni di
specchio, ed anche se cercava in apparenza di mimare un personaggio che
tenta di passare il più inosservato possibile, vestendo i panni della
persona qualsiasi, in fondo la sua era soltanto una posa. La maniera che
generalmente gli piaceva di più era quella di entrare là dentro
parlando sottovoce al telefono, senza fare alcun gesto, se non qualche
sorriso o un saluto pacato indirizzato verso una conoscenza qualsiasi in
fondo al locale, restando impassibile e guardandosi attorno in un
attimo breve di sospensione quasi pneumatica, decidendo di dirigersi
inevitabilmente verso il bancone del bar. Pur scegliendo di mangiare
qualcosa, un toast, una tartina, un sandwich, pareva scegliere a caso,
pur insistendo con garbo per avere sempre una cosa precisa, generalmente
accompagnando tutto con un semplice bicchier d’acqua, e rimanendo
rigorosamente in piedi vicino ai piani su cui si servivano tramezzini e
caffè, ma senza mai né appoggiarsi né toccare la superficie del banco.
Lui
amava andare nei posti da solo, specialmente locali pieni di gente,
proprio come quel giorno, e spesso trovava da scambiare uno sguardo, un
sorriso, a volte persino qualche parola, in genere considerazioni
confezionate con spirito su qualcosa che appariva piuttosto evidente. Si
tratteneva per il tempo strettamente necessario, forse anche meno, pur
riuscendo ad evitare di venire scambiato per un tipo nervoso o peggio
nevrotico. La ragazza, entrata dopo di lui nel locale, gli aveva chiesto
in inglese se sapeva indicarle un negozio specificando un nome curioso.
Lui, nel suo modo semplificato di parlare quella lingua straniera,
aveva risposto che gli dispiaceva, ma non aveva mai sentito quel nome,
però immediatamente ne aveva chiesto notizia in italiano al barista, che
in due parole aveva saputo indicare dove si trovasse quell’esercizio.
Una volta tradotta l’informazione, la ragazza aveva ringraziato con un
gran sorriso, e a lui, pensando tra sé che avrebbe potuto benissimo
invitarla a bere un caffè, o accompagnarla addirittura fino al negozio
che peraltro rimaneva vicino, non gli era passato per la testa di fare
né questo né quello, e non per una sorta di timidezza o di impaccio, ma
per quel suo bisogno sovrano di stare da solo, anche in un posto pieno
di gente.
Lui,
infine, quando era uscito da quel caffè, si era accorto che la ragazza
straniera era ancora nei pressi, fingendo di cercare con grande impegno
qualcosa dentro la borsa, di fatto probabilmente aspettandolo, proprio
per dargli una ulteriore possibilità; ma lui stava osservando con grande
interesse un punto qualsiasi, qualcosa che restava in una zona distante
del viale su cui si affacciava il locale, e sempre con il suo passo,
mai affrettato, quasi una vera e propria cadenza, raggiunse la sua
macchina parcheggiata vicino, e così, senza neppure voltarsi, se ne
andò.
Bruno Magnolfi
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