sabato 16 febbraio 2013

Ricerca di normalità.

            
            Il ragazzino è come tutti gli altri, dicono in paese. Poi però ti spiegano che se lo piazzi lì, in una stanza oscurata, e lasci che lui si concentri circondato dalle persone giuste, ecco che  all’improvviso inizia a dire delle cose che non si sono mai sentite. Come se parlasse qualcun altro al posto suo, e lui prestasse soltanto la sua voce. Storie vecchie, per la maggior parte delle volte, cose antiche, roba che nessuno conosce o si ricorda, e che sicuramente neppure lui può conoscere, ma che invece quel ragazzo sembra proprio di sapere, dicendole con chiarezza anche se con frasi contorte, spiegandosi però come se le sue parole uscissero da un’altra fonte, arrivassero da un’altra persona; lui rivela tutto come se non fosse lui a parlare, e questo succede proprio nello stesso momento in cui invece se ne rimane lì, tranquillo, a raccontare in mezzo agli altri verità stranissime, addirittura con una evidente indifferenza verso ciò che spiega e anche verso tutto il resto.
            Lo incontri per strada e naturalmente ti volti ad osservarlo: è soltanto un ragazzino, pensi, eppure sembra che abbia una luce strana che lo illumina, un’espressione sul viso che non hai mai visto, qualcosa che te lo fa sentire subito distante, differente da tutti gli altri. Ci pensi ed avresti voglia di schiacciarlo, di eliminare la sua presenza da qui, di toglierlo di torno, e che non abbia più a posare il suo sguardo di indifferenza su di noi. Lo vedi e sai perfettamente che non è uno come tutti, anche se non sai dire da che cosa dipende questo tuo giudizio, perché non c’è niente che non vada, almeno in apparenza, solo che non è uno di noi, e questo lo capisci subito.
            Però c’è anche un’altra cosa, in paese lo sanno quasi tutti: tu stai lì, certe volte, magari a bere un bicchierino al banco nello stesso locale dove per combinazione si trova anche lui; o all’ufficio postale, per esempio, in coda come gli altri, o in un negozio a comprare qualche cosa; lo vedi lì, fermo, e all’improvviso ti senti caldo addosso, un caldo da scoppiare, oppure provi un grande freddo, con dei brividi quasi innaturali. Ti sembra tutto assurdo, cerchi di scrollarti di dosso quelle sensazioni, ma non c’è niente di strano quando c’è di mezzo quell’assurdo ragazzino. E’ lui, semplicemente con la sua presenza, che sta alterando tutte le tue percezioni, e tu non puoi proprio fare niente, se non startene lì a subire quella sua influenza negativa.
            Lo guardi, e lui è immobile, con un’espressione sempre identica sopra la sua faccia, quasi come se sorridesse dentro di sé per quello che succede, o forse dei suoi strani poteri, della sua personalità così incomprensibile, almeno a noi che cerchiamo solo di mandare avanti un’esistenza normale e dignitosa. Lo lasci perdere se per caso lo incontri lungo la strada principale del paese, ma per quanto cerchi di tenertelo a debita distanza, te lo ritrovi sempre lì, a pochi passi, nelle circostanze di dove ti trovi, con la sua luce odiosa che si porta dietro, e se continui a camminare pensando ad altro o ai fatti tuoi, ti ritrovi all’improvviso sempre vicino alla casa dove abita, senza saperti spiegare come mai succede questo, e semplicemente avresti voglia di abbatterla, quella abitazione, di raderla al suolo in fretta e di sotterrarne le macerie in un’enorme buca nella terra.
            Non escludo che uno di questi giorni succeda qualche cosa: non è proprio possibile continuare a sopportare questa presenza inquietante e inammissibile. Qualcuno di noi farà qualcosa, lo so quasi con certezza; prenderanno il ragazzino e gli metteranno un cappuccio sulla testa, poi lo porteranno in qualche zona chissà dove, e gli intimeranno di non farsi più vedere nel paese. Succederà, lo so per certo, e non sarà colpa di nessuno quando accadrà qualcosa di quel genere, perché non è più sopportabile la sua presenza, e si deve pur fare qualche cosa, dobbiamo difenderci per forza da chi non ti fa mai stare tranquillo, ad occuparti delle tue cose normali.

            Bruno Magnolfi

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