Cammino
per strada, nella tarda serata. Ad un tratto vedo un uomo fermo a pochi
metri da me. Mi osserva come stesse in attesa, quasi pronto a scattare.
Non posso lasciargli credere che ho paura di lui, però siamo soli lungo
quel tratto di strada, ed i lampioni illuminano a malapena la scena.
Penso come sempre che non ho niente da perdere, ma non è facile
procedere come se tutto fosse normale, come se il naturale andamento
delle cose non prevedesse un inciampo di fronte a sé.
Mi fermo,
accendo una sigaretta e prendo tempo. Nell’atto di frugarmi dentro alla
tasca, avverto qualcosa che non avevo considerato: un piccolo temperino
che porto sempre con me. Vado avanti, ma torno a fermarmi di nuovo. Mi
volto all’indietro, non c’è nessuno; potrei tornare verso casa, penso,
oppure attraversare la strada, andarmene per i fatti miei. Sento sotto
la giacca la tensione che sale, non so se ho paura, forse vorrei
soltanto aver già affrontato quell’uomo ed essermi tolto quel peso.
Dico
qualcosa tra me, due o tre parole senza alcun significato, poi lascio
nell’aria un silenzio di due o tre secondi, e infine mi lascio andare in
una sonora risata. Intanto con la mano dentro la tasca apro il mio
temperino: mi sento pronto, posso ancora ridere, penso, non ho paura di
nulla. Mi fermo, osservo le dita che sostengono la mia sigaretta, poi
aspiro una profonda boccata di fumo. Mi viene da tossire, ma resisto.
Faccio ancora un passo in avanti, scruto qualcosa oltre la figura
maschile di fronte a me, ma è soltanto uno scuro cespuglio che sembra
assorbire luce e rumore.
Penso che
tutto abbia uno scopo; rifletto che ci saranno altre serate simili a
questa, potrò ancora camminare lungo la strada, non c’è niente di male
nel farsi una passeggiata. Cerco di oggettivare la situazione, e tutto
mi appare ridicolo, come se quanto sta per succedere fosse al di sopra
di me, oltre questa pochezza di cose da mandare avanti ogni giorno. Ho
ancora voglia di ridere, ma mi trattengo. Mi avvicino ancora di poco,
l’aria sembra più densa, così immagino che gli eventi ormai siano al
culmine del loro verificarsi.
Torno a
fermarmi, mi volto, sento di avere paura. Chi mi attende nasconde
qualcosa, qualcosa di me, ha già dentro le mani un elemento che forse mi
appartiene, anche se non so cosa sia. Devo fuggire, penso, allontanarmi
in fretta da tutto, ritrovare ciò che ero prima di questo momento,
azzerare tutte le cose, convincermi che nulla è mai accaduto. Mi cade la
sigaretta sul marciapiede, mi fermo di nuovo, ho l’affanno. L’oscura
figura che staglia il suo profilo nel buio è immobile, non tradisce
alcun sentimento.
Scappare,
penso, non posso far altro, anche se è tardi, il mio temperino è
inservibile, la mia razionalità forse non aiuta nessuno, tantomeno il
mio corpo che avanza come un automa. Mi fermo a tre o quattro metri,
apro la bocca per una risata nervosa, guardo quell’uomo e mi lascio
guardare, ormai non c’è più niente da poter portare al sicuro, tutto è
di fronte allo specchio, tutto è coinvolto in una mimica sospesa nel
tempo. Osservo meglio la faccia dell’uomo: è un manichino di polistirolo
sul suo piedistallo, abbandonato lì forse solo per fare uno scherzo.
Bruno Magnolfi
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