E’ già in
ritardo, dico con convinzione alla signora accanto a me mentre ambedue
continuiamo a stazionare sulla panchina presso la fermata del bus
cittadino. Lei annuisce, io osservo la strada nell’attesa di veder
arrivare quel mezzo pubblico. Sto fermo, impassibile: devo restare in
silenzio, mi dico, non posso sempre lasciarmi sfuggire i pensieri con
chiunque sia nelle mie vicinanze. La signora, subito dopo, dice come tra
sé che lei non ha fretta, e che la giornata peraltro le sembra
deliziosa, degna di essere goduta all’aria aperta. Spende un’occhiata
verso di me, presumibilmente per vedere come reagisco: io avrei molte
cose da dire a riguardo, ma resto in silenzio, mi costringo a non
formulare nessuna parola, zitto, quasi senza pensare.
Il bus non
arriva, mi spazientisco, non ho alcuna fretta particolare, ma attendere
mi pare un’attività tra le più odiose possibili, anche se cerco di
resistere, e così continuo a rimanere immobile, nascondendo in quel modo
il mio vero stato d’animo. Però non si può ridurre tutto ai propri
gusti e comportamenti, dico alla signora, lasciandole intendere che il
ritardo del bus è un fatto oggettivo, oltre la bella giornata e la
voglia di starsene su quella panchina. Passa un attimo di silenzio
completo, in cui mi pento profondamente di avere di nuovo parlato. Poi
la signora insiste: si possono prendere in molte maniere, le piccole
avversità di ogni giorno.
Guardo il
mio orologio da polso, mi muovo, sbuffo, ormai sono in aperta
conflittualità con la signora, che sicuramente mi giudica un impaziente,
una persona che non sa dominare gli istinti. Ho un appuntamento, le
dico; ogni minuto perso per me risulta importante. Questo non cambierà
assolutamente le cose, fa lei. Certo, fo io, ma almeno potrò lamentarmi
di qualcosa che non funziona in questa città. Mi rendo conto
improvvisamente che le ultime parole le ho pronunciate con voce
leggermente alterata, appena più del necessario, così adesso mi sento
dispiaciuto di aver mostrato il peggio di me a quella signora.
Mi muovo
ancora con nervosismo, vorrei tanto che giungesse qualcuno ad attendere
il bus insieme a noi, ma anche questo è un elemento da cui proprio non
sono confortato. Con le belle giornate, si va a passeggiare ai giardini,
dico con calma, così si dimentica il passare del tempo ed il resto. Lei
non ribatte, gioca sul silenzio perfetto, sulla sua indubbia capacità
di sopportare ogni cosa, perfino la mia presenza. Va bene, dico alla
fine, lei ha ragione, fa male addirittura all’organismo prendersela
troppo per cose del genere. Però vorrà ammettere che tutto questo
ritardo non è assolutamente ammissibile?
La signora
resta in silenzio; io vorrei scomparire di colpo dal tratto di strada,
anzi, penso per un attimo che addirittura potrei avviarmi a piedi nella
direzione verso cui devo andare, ma subito rinuncio, sarebbe un darsi
dello stupido e basta. La signora neppure mi guarda, finge che io non ci
sia, che non abbia detto un bel niente. Mi sento sull’orlo dell’odio
verso questa persona, vorrei strangolarla, stringerle la gola fino al
punto di farle confessare che è una vera inciviltà un ritardo del
genere. Poi arriva il bus, esprimo espressioni vistose di apprezzamento,
mi alzo e mi preparo a salire ancora prima che il mezzo sia giunto alla
fermata, scalpito quasi per evitare di far perdere tempo all’autista.
Poi salgo, timbro il biglietto, mi siedo, e immediatamente mi accorgo
che la signora di prima non si è neppure spostata dalla fermata. Il
mezzo riparte: mi sento assolutamente confuso, e la mia giornata ormai
appare irrevocabilmente già compromessa.
Bruno Magnolfi
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