Il
chiarore del giorno sbianca poco a poco l’interno di questa mia stanza.
Non trovo un motivo valido per starmene ancora qui ad osservare degli
inutili dettagli fuori da questa finestra, ma spingermi fuori, per
strada, senza neppure uno scopo preciso, in questa giornata qualsiasi,
imbevuta di normalità, mi parrebbe come sentirmi ancora più inutile,
privo di qualsiasi prospettiva.
Vorrei
avere uno scatto di nervi, costringermi ad urlare una rabbia repressa
che coltivo da sempre, ma la mia razionalità mi lascia facilmente
desistere da qualsiasi stranezza. Nel silenzio dell’alba si sente
qualche veicolo percorrere la strada quasi deserta, ed io vorrei tanto
riuscire ad immedesimarmi in una persona qualunque, un uomo di polso,
magari, con uno scopo preciso, un orario definito da rispettare.
Forse la
cosa migliore sarà quella di attendere l’arrivo di Lucia, la nostra
domestica, penso; tra poco sarà qui e inizierà col sistemare le camere,
poi giungerà fino a questo studio, mi saluterà con il suo buongiorno
così musicale, poi vorrà chiedermi sicuramente qualcosa, tipo: come va?
E’ questa la sua solita domanda, ma io non riesco mai a prepararmi una
risposta esauriente, così il più delle volte mi limito vagamente a
mugugnare, a sorridere, ad alzare le spalle, come fingendo di
allontanare quella tristezza che porto da sempre con me.
Con calma
uscirò da questo rifugio, giusto per lasciare lavorare Lucia in santa
pace, e lei dirà come sempre: può anche restare, se vuole. Ma io andrò
ugualmente a sedermi sul solito divanetto del corridoio, aprendo il mio
libro di lettura e scorrendo lentamente qualche parola. Che cosa mi
importa di tutto, penserò sottovoce. Vorrei soltanto riuscire, come
facevo una volta, a sognare scorrendo le frasi di un romanzo avvincente,
ma adesso tutto gioca a farmi rendere conto che non è più possibile.
Infine,
già lo so, mi sentirò ancora attratto da quella finestra che troneggia
al fondo del corridoio: la raggiungerò, indifferente ad ogni proposito,
l’aprirò come per lasciare prendere aria al mio spirito, e saluterò con
la voce e muovendo una mano la prima persona che riuscirò a scorgere. E’
quello pazzo, dirà qualcuno senza farsi sentire; con tutti i soldi che
ha non riesce neppure a mandare avanti una vita normale. Allora chiamerò
Lucia a viva voce, mi lascerò servire da lei la colazione, le chiederò,
lasciandomi sentire da tutti, se le va di fare due passi con me nel
pomeriggio, e riderò forte per mostrare quanto sia allegra questa mia
vita, questo decidere continuo cosa fare, dove stare, chi avere accanto.
Mi
sistemerò appoggiato al davanzale, invece, e lascerò che ognuna delle
persone che circolano per questa strada esterni la propria opinione su
quello che vedono o che credono di vedere. Forse, come se niente mi
giungesse dei propositi della gente che passa da questa via, sorriderò
perfino a quei pensieri che nelle menti di quelle persone si formano
alla mia vista, lasciando immaginare comunque una distanza incolmabile
tra me e tutti gli altri.
Bruno Magnolfi
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