Mi
ritrovo sdraiato per terra. Ho dolori da tutte le parti, ma uno è più forte
degli altri, allo stomaco. Ho appena finito di vomitare, datemi una mano
ragazzi, dico con voce che non è quasi la mia. Sono andati, si è così, gli
altri sono tutti spariti. In questa strada non c’è neanche luce, ed io non
riesco neppure a tenermi su in piedi. Mi è arrivato un diretto preciso allo
stomaco, dico, non ho proprio potuto far niente. Sono tutti vigliacchi, dicono
assieme i ragazzi: erano in troppi, non avremmo mai potuto far niente di buono
con loro. Non importa, dico in qualche maniera, adesso mi passa, forse non è
niente, mi basta respirare un po’ d’aria.
Mi
tengono su, mi fanno fare due passi; mi sento uno straccio, dico con un filo di
voce. Adesso andiamo a bere qualcosa, dice qualcuno dei miei amici, togliamoci
alla svelta da qui. Si torna verso le macchine, sento una fitta che mi prende
alle gambe, alla pancia, alla testa, a tutte le parti del corpo. Ragazzi non ce
la faccio, dico con dispiacere. Ti portiamo al pronto soccorso, fa uno; no, ora
gli passa, fa un altro. Fai più luce con quell’accendino, mi pare bianco come
un cadavere.
Va
bene, va bene, fa il capo; però tu inventa qualcosa, dì che eri da solo, che
sei caduto lungo la strada, e che noi ti abbiamo soltanto aiutato. Vorrei solo
la luce, dico a me stesso, soltanto un po’ della luce che si intravede in fondo
alla strada. Avrei potuto essere a casa a guardarmi un programma alla
televisione, penso, senza neanche una preoccupazione qualsiasi, e invece eccomi
qui, a vomitare e a sentirmi così male che non so neppure se riuscirò ancora a
resistere. Va bene, va bene, dicono tutti, è tutto sotto controllo. Adesso
andiamo alle macchine e in un attimo sei al pronto soccorso. Ti fanno una bella
iniezione di antidolorifico e sei già a posto; dai, prova a camminare che ti
aiutiamo.
Così
faccio due passi e mi accascio: non ce la faccio, dico, mi dispiace, non ce la
faccio per niente. Mi prendono in due o in tre, mi portano lentamente fino alla
macchina. Io chiudo gli occhi, lascio fare tutto quello che vogliono, sento
intorno a me tante cose confuse, poi, dopo appena un momento, immerso ancora
nel buio, mi accorgo che sono già sopra ad una barella, qualcuno mi guarda e mi
palpa, rottura della milza, dice un altro sopra di me, altri armeggiano
intorno, mentre le lampade al neon passano in alto.
Mi tagliano i
peli sopra la pancia, alla svelta, mi infilano degli aghi dentro le vene, vanno
di corsa, hanno fretta, penso, poi ho un ultimo pensiero prima di entrare
dentro la sala: comunque sia ne valeva la pena, ne sono sicuro, il resto è solo
sfortuna, certe volte va bene, in certi casi tutto va storto, stasera doveva
proprio andare così.
Forse.
Bruno Magnolfi
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