lunedì 6 settembre 2010

La norma di vita



Quello che rimane certo è che in tutto questo tempo e nonostante tutto l’impegno non è affatto migliorato, aveva detto il padre di Luca. Questo sicuramente è vero, aveva risposto la madre, però dobbiamo convenire che non è neppure peggiorato, e questo forse è già un risultato. Si erano seduti nella saletta d’attesa dell’ospedale psichiatrico, e aspettavano il turno per essere ricevuti dal medico. Lui si sentiva depresso, pensava che le cose sarebbero andate avanti così, probabilmente fino a quando loro due sarebbero stati troppo anziani per poterlo ancora accudire, e questa gli pareva una prospettiva tristissima. Lei continuava a vivere giorno per giorno e a volte le bastava soltanto l’articolazione indistinta di una parola da parte di Luca per lasciarsi commuovere: le pareva già così un progresso grandissimo, e questo per lei era sufficiente a qualsiasi sacrificio.

Luca aveva ormai otto anni, non aveva risposto quasi a nessuno di tutti gli stimoli che avevano cercato di sollecitargli, niente pareva scalfire la corazza in cui restava chiuso. Anche i medici avevano sperato qualcosa di più, ma alla fine i risultati erano quelli che erano, lui rimaneva lì, inattivo, sprofondato in un mondo diverso. E’ vero che certe volte aveva meravigliato tutti mostrando capacità che nessuno gli aveva insegnato, ma erano stati momenti sporadici che la maggior parte delle volte pareva aver sviluppato da solo. Si continuava così, stimolandolo, osservandolo, senza darsi grandi speranze.

Sopra le sedie della sala d’attesa il padre di Luca non aveva argomenti, restava in silenzio e ripensava alle piccole cose avvenute negli ultimi tempi, quelle che in qualche modo avessero un senso, potessero risultare significative per il medico che seguiva la loro situazione. La madre andava avanti come sempre a dire qualcosa a suo figlio, pur lentamente, sottovoce, spesso usando parole isolate, come dando continuazione ad un dialogo sul quale contava e che a lei pareva importante non interrompere. Luca come sempre guardava un punto qualsiasi davanti a sé, con le mani toccava qualcosa di immaginario sulle sue gambe, pareva sempre sul punto di dire qualcosa, di esprimersi, di spezzare da solo quella corazza e abbracciare con slancio i suoi genitori; ma non lo faceva.

Poi un uomo arrivò quasi di corsa, bussò alla porta della stanza dove il medico faceva le visite e attese che gli aprissero. In quell’attimo, come richiamato da qualcosa, si volse verso Luca e lo osservò. Luca tirò su il suo sguardo, lo guardò in fondo agli occhi, e in un attimo l’importanza di tutte le cose parve oscillare: le sue mani smisero di cercare qualcosa, sua madre rimase in silenzio, persino il ronzio di un neon dentro al soffitto parve attenuarsi, poi la porta si aprì e Luca si alzò autonomamente dalla sua sedia: è il mio turno, sembrava dicesse, dobbiamo tutti sottostare alle norme.

Bruno Magnolfi

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