domenica 26 settembre 2010

Scena n. 4. Tempo esaurito.




Le assi di legno del palco avevano scricchiolato quando il signor Calzano era entrato dentro alla scena. Sotto alle luci dei riflettori c’erano le sedie e i tavolini di un bar, sul fondale era stato disegnato il bancone. Mi porterebbe per favore un caffè e mezzo bicchiere di acqua gassata?, disse il signor Calzano al cameriere nello stesso preciso momento in cui si stava sedendo. Subito, disse quello sparendo alla vista dietro alle luci. Una donna, al margine del palco, si muoveva lentamente di spalle cercando qualcosa dentro alla borsetta che continuava a tenere aperta sotto ai suoi occhi. Passò un minuto, poi vide il signor Calzano e si accostò con timidezza al suo tavolino, lui si alzò con gesto impeccabile, e invitò la donna a sedersi con lui, e lei si sedette.

Come vedi, disse la donna nervosamente, con la bocca storpiata in un vago sorriso, sono venuta; ma, solo per pochi minuti, solo per il tempo sufficiente a chiarire le cose. Mi dispiacerebbe davvero darti una delusione, continuava lei in modo aspro, però io mi sono rifatta una vita, in fondo ne sono trascorsi di anni, adesso ho un marito, una figlia, non ho certo aspettato che tu sciogliessi i tuoi dubbi interiori. Non so cosa cercassi da me con il biglietto che mi hai spedito, però sappi che io da molto non ho pensato più a te, anche se riconosco che la nostra è stata una relazione importante nella mia vita.

Il cameriere, con il suo piccolo vassoio, aveva intanto portato l’acqua e il caffè, poi, appoggiando la tazza e il bicchiere sul tavolo, aveva detto soltanto: la signora prende qualcosa? Si, per favore, aveva prontamente risposto la donna, un gin tonic con qualche cubetto di ghiaccio. Il cameriere solerte aveva annuito ed era sparito di nuovo, i due si erano guardati negli occhi per una frazione di tempo; poi, il signor Calzano aveva risposto: la vita è un materiale duttile, che cambia con facilità di forma e qualche volta anche di sostanza. Non avevo certo immaginato che tu fossi rimasta ad attendere la soluzione agli interrogativi che io mi ero posto quando eravamo innamorati l’uno dell’altra, nient’affatto, e neppure avevo voglia di vederti per parlare del nostro passato o di ciò che sei diventata oggigiorno. E’ solo per sapere se sei felice che ti ho chiesto di venire qui stamattina.

La donna ebbe un sussulto, si guardava le mani, la borsa appoggiata sopra le gambe, cercava le parole più adatte, poi disse: non lo so, a te posso dirlo, ho solo lasciato che le cose andassero avanti da sole, senza chiedermi cosa potessi fare di diverso o di meglio. Ho un compito importante adesso da svolgere, lo sento fuori e dentro di me, e cerco di metterci tutto l’impegno possibile per assolverlo al meglio. Quelle che fai tu sono domande che io non mi pongo; forse vorresti che facessi una comparazione con quando stavo con te, ma questo è impossibile, non ci sarebbe alcun senso nel cercare un raffronto. Però una cosa posso dirti, visto che siamo a parlarne: sento un orgoglio dentro di me, per quello che sono riuscita ad essere oggi, superiore a qualsiasi altro sentimento, e per questo orgoglio sarei disposta a qualsiasi sacrificio; se sono venuta qui al tuo appuntamento è solo per dirti questa semplice cosa: lasciami perdere, non cercarmi, potremmo giocare ai nostalgici se ci va e per un po’ di tempo, ma questo non farebbe altro che sciupare le nostre differenti realtà, senza costruirne di nuove.

Contemporaneamente arrivò il cameriere, appoggiò l’ordinazione sul piano del tavolo con professionalità, ma questo accadde proprio nel preciso momento in cui la donna ormai si era alzata, e con un gesto quasi di stizza era ormai uscita di scena.

Bruno Magnolfi

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