mercoledì 1 settembre 2010

Siamo tutti perdenti



Avevano trascorso la serata in un bar, uno di quelli dove l’aperitivo si fonde assieme alla cena, poi avevano salutato i ragazzi a voce alta con i modi di fare di chi ha qualche impegno impellente, ed erano saliti sopra la moto di uno dei due, a caccia di qualcos’altro da fare. Lungo i viali avevano discusso più a gesti che a parole per definire la direzione verso cui dirigersi; infine, dopo numerosi giri e per trovare un’intesa, si erano fermati ad un chiosco a bere un paio di birrette. Quando erano tornati a percorrere i viali c’era già meno traffico in giro, e ripartendo da qualche semaforo si erano potuti permettere di tirare le marce alla moto, tanto per farsi notare da tutti.

Poi si erano fermati ad un incrocio che immetteva in una piazza piena di alberi, giusto per decidere ormai di andarsene a casa, che tanto non valeva la pena di stare ancora a girare a vuoto in quella maniera, ed era stato esattamente in quel momento, mentre sulle strade non c’era più quasi nessuno, che avevano scorto nel verde l’extracomunitario claudicante scegliere una panchina e sistemare le sue cose probabilmente per passarvi la notte.

Erano andati più avanti, come rispondendo ad un segnale preciso, avevano spento la moto, poi erano tornati indietro a piedi fino a ritrovarsi vicini a quella panchina. C’erano dei giornali per terra, ed uno dei due, con l’accendino, in perfetto silenzio, aveva dato fuoco alla carta. Le fiamme si erano alzate alla svelta, loro due si erano nascosti dietro ai cespugli, e in pochi minuti un lato vicino alla panchina dov’era sdraiato l’extracomunitario già crepitava.

Erano passati pochi secondi, e il fuoco, privo di alimentazione, si era spento quasi del tutto. I due rimanevano indecisi su cosa fare, visto anche che l’uomo sdraiato sembrava non essersi accorto di niente, poi avevano deciso di rovesciare la panchina tanto per rovinargli almeno quel sonno pesante. Ma nel farlo, l’uomo si era svegliato, si era immediatamente reso conto di quanto stava accadendo, e ancor prima di alzarsi aveva assestato un pugno in piena faccia ad uno dei due. L’altro, nella poca luce che arrivava sotto quegli alberi, era rimasto come stordito, tanto imprevista gli sembrava quella reazione, e poi aveva cercato di aiutare l’amico che intanto era rovinato per terra.

Ma l’uomo, resosi conto di tutto, pur claudicante com’era, si era scagliato verso di loro pestandoli a mani nude e senza concedergli alcuna possibilità di reagire, e in un attimo li aveva costretti a darsi alla fuga verso la strada. Poi, alla svelta, aveva raccolto la sua poca roba, era andato ancora verso di loro e li aveva intravisti vicini alla moto parcheggiata al margine di quel giardino.

Così li aveva guardati con attenzione mentre i due, doloranti, erano saliti di nuovo sopra la sella ed erano ripartiti, e solo a quel punto aveva sentito dentro di sé un dolore sicuramente più forte di quello che aveva loro inflitto. Si era accasciato sopra ai talloni, aveva coperto il viso con le palme delle sue mani, e aveva iniziato a piangere lentamente e in silenzio. Piangeva di sé, della sua solitudine, della sua vita disgraziata, del suo essere niente; ma anche degli altri, dei più fortunati, quelli che non riuscivano proprio a rendersi conto, e di quella guerra sotterranea che si svolgeva sotto agli occhi di tutti tra una parte del mondo e quell’altra, quasi come se si dovesse manifestare un vincitore finale, e non, com’era evidente, terminando per lasciare tutti perdenti. Poi raccolse le sue povere cose per andarsene in cerca di un posto diverso dove passare la notte, e scomparve zoppicando nel buio.

Bruno Magnolfi

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