domenica 5 settembre 2010

Trenta e lode


La ragazza aveva alzato gli occhi dal libro rispondendo a qualcosa che si era mosso leggermente nel campo visivo di fronte a lei. Stava ripassando con impegno su un grosso tomo zeppo di sottolineature i temi principali dell’esame di antropologia culturale che avrebbe dovuto sostenere tra non molto, e come sempre le capitava, si sentiva assolutamente impreparata, come non avesse studiato affatto quei testi e quella materia.

Vicino a lei era arrivato un ragazzo che non aveva mai notato prima alle lezioni o lungo i corridoi: non si era guardato attorno, non aveva chiesto niente a nessuno, si era messo a consultare le informazioni esposte nella bacheca appesa al muro come se fosse quello l’unico interesse di qualsiasi studente, indifferente al fatto che lì accanto si stessero sostenendo gli esami per quella disciplina.

Poi aveva tirato fuori dalla tasca un fogliaccio ripiegato, aveva scritto qualcosa con una matita, infine, forse per appuntare le cose ancora meglio, era andato a sedersi su una delle seggioline proprio di fronte alla ragazza. Lei aveva continuato ad osservarlo con una curiosità che difficilmente si riconosceva, aveva addirittura riposto il grosso libro che aveva sulle gambe lasciando solo un dito tra le pagine socchiuse, giusto per tenere il segno, e quasi senza volerlo si era concentrata su quei capelli neri, riccioli, quei lineamenti dolci, quelle mani decise, quasi da uomo. Lui a sua volta aveva finito di scrivere le sue cose, aveva sollevato lo sguardo su di lei come avesse interpretato perfettamente i suoi pensieri, e le aveva sorriso, senza tentennamenti, facendola arrossire.

Portami via, pensava lei rincorrendo qualcosa ma soprattutto fuggendo dalle sue paure; sono qui, anche se i miei desideri sono altri: portami via, spiegami che non ha senso tutto questo sacrificio, che la vita è un’altra cosa, da scoprire con i sensi, da ascoltare mentre fluisce lenta attorno a noi…; portami via, ti sarò sempre grata per avere intuito come sono veramente, quello che attraversa i miei pensieri, ciò che mi distoglie da questo sciocco creare futuro sulla carta, piegando la testa a delle regole a cui per forza accondiscendo, ma che non condivido…

Lei aveva abbassato lo sguardo, la testa zeppa di pensieri contraddittori, poi si era concentrata su una macchia di colore in fondo al corridoio, infine si era trovata a resistere a se stessa ed al suo prorompente desiderio di volgere gli occhi ancora su di lui, che rimaneva seduto, di fronte, quasi per una sfida, e forse la stava osservando, forse avrebbe voluto chiederle qualcosa, chissà…

L’assistente era uscito dall’aula e aveva detto un nome a voce alta, ma non era ancora il suo, però lei si era alzata, aveva appoggiato il libro sopra la sua seggiolina rispondendo ad uno stimolo nervoso molto forte, e lui, con voce leggera ma decisa, le aveva detto: sei la prossima? Si, aveva risposto lei, senza sapere neppure come avesse fatto. Poi lui si era alzato, le era andato più vicino, aveva detto, quasi come fosse un segreto: dai, rimango qui ad aspettarti mentre fai l’esame, sono sicuro che andrà tutto benissimo, se prendi un bel voto ti offro l’aperitivo. A lei venne di abbracciarlo, ma non lo fece. Rimase sospesa in balia di tutte le emozioni possibili, poi chiamarono il suo nome, e quando uscì dall’aula lui era lì, sorridente, e a lei avevano segnato trenta e lode sul libretto.

Bruno Magnolfi

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