lunedì 13 settembre 2010

La misurazione dei componenti




La donna aveva guidato nel traffico con la sua utilitaria, poi rallentando aveva accostato con la vettura al marciapiede di destra, proprio dove, in mezzo ad altre persone, aveva intravisto chi la stava aspettando. Si era fermata, aveva dato un leggero colpo sul clacson, aveva lasciato che in diversi si voltassero verso di lei. Per quel giorno aveva indossato una camicetta bianca con il morbido colletto di pizzo, e una giacchina attillata della quale si sentiva convinta le stesse benissimo, ed era uscita da casa felice di incontrarsi con lui.

L’uomo, fermo sul marciapiede in attesa, aveva riconosciuto da lontano quella macchina, si era voltato di fianco fingendo di guardare qualcosa tra le sue mani per non dare troppa importanza alla donna che stava arrivando, e si era subito innervosito quando aveva sentito che lei gli suonava, come per mostrarsi a tutta la strada. Non gli era piaciuto quel gesto, così aveva sollevato la testa restando per un attimo fermo dove stava, perplesso sull’atteggiamento da prendere.

Poi si era mosso, era andato svogliatamente verso la macchina mentre la donna aveva prontamente azionato le frecce di stazionamento, non dimenticando di osservare la strada alle sue spalle nello specchietto retrovisore. Le aveva bussato nel vetro dello sportello dalla parte del passeggero, quindi aveva lasciato che lei azionasse il meccanismo per l’apertura automatica del finestrino. Poi si era leggermente inclinato, ma non tanto da farle vedere tutto il suo viso, attendendo anzi che lei si spostasse con il suo corpo verso il sedile di destra, in modo che riuscisse a guardarlo negli occhi. Poi aveva dato un’occhiata lungo il marciapiede ingombro di gente che si snodava al suo fianco.

Ciao, aveva detto lei cercando di conservare il suo buonumore nonostante avesse capito perfettamente che c’era qualcosa che non andava. Stavo solo aspettando l’arrivo di una persona, aveva detto lui chissà cosa cercando di farle capire. E non ti sembra arrivata? Incalzò lei decisa a recuperare la situazione. Forse, aveva risposto lui dopo una pausa, ma non mi sembra abbia capito la maniera come mi piacerebbe desse segno di sé. Lei allungò la mano conservando il sorriso, fece scattare il meccanismo di apertura dello sportello, e attese che lui salisse sulla vettura.

Aspetta, disse lui, una volta sistemato sopra al sedile; penso che dovrai ascoltare qualcosa prima di innestare la marcia. Vedi, non mi sento a mio agio con te, sei sempre un po’ lontana dai miei desideri, ti comporti come se io fossi qualcosa da tirare sulla tua macchina mentre te ne vai in giro, per poi scaricarmi una volta stufata. Non metti mai impegno nel cercarmi, nel mostrare che mi desideri, che hai un’idea alta del nostro incontrarci. Non mi sento a mio agio quando esco con te, sembra sempre che tutto si muova per il verso sbagliato.

Va bene, aveva detto lei conservando la stessa espressione e dando ancora un’occhiata nello specchietto retrovisore. Ci fu una pausa vuota di tutto, poi lui fece scattare l’apertura dello sportello, lo aprì senza dire più niente, senza neppure guardarla, e scese da quella macchina, richiudendo la portiera avendo cura di evitare di sbatterla. Anche lei non disse niente, innestò prontamente la marcia facendo raschiare leggermente gli ingranaggi del cambio, dette un’occhiata agli specchietti per assicurarsi che nessuno stesse arrivando, e poi se ne andò.

Bruno Magnolfi

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