mercoledì 22 settembre 2010

Scena n. 3. Monologo interiore.




Sono qui, da solo, come sempre. Quasi non mi interessa che abbiano allestito questo piccolo palco tutto per me, con uno sfondo di palazzi di periferia, questo marciapiede qualsiasi, le luci taglienti che lasciano ombre da tutte le parti. Mi viene da ridere a pensare che si siano preoccupati di dare una cornice adeguata al mio spirito, è insignificante il contorno, ciò che conta è questa amarezza, sapere che niente riesce a farmi sentire adeguato.

In genere nutro scarso interesse per ciò che gli altri si affannano a fare, non perché io viva solo di me stesso, sia chiaro, in genere cerco di tenere lontano da me qualsiasi moto egoista; bensì perché riconosco un certo ottimismo, una positiva speranza, una voglia per me assurda di guardare in avanti, una maniera di pensare ogni cosa che io, per quanto cerchi dentro di me, non ritrovo, non ho mai conosciuto.

Vivo di poche certezze, alle quali ritengo di stare attaccato più che a qualsiasi sogno fumoso: so di essere, di occupare uno spazio all’interno del mondo, di essere costretto in un ruolo di cui farei a meno, di mandare in avanti un’esistenza della quale non ho scelto un bel niente, se non il mio debole pensiero, la mia capacità di sentirmi inadatto a ciò verso cui sono costretto. Percorro la strada che mi è stata indicata, mi guardo attorno certe volte, mi rendo conto che non ho alcuna scelta.

Eppure sono qui, sento la necessità di urlare un dolore che mi esce da dentro, anche se so già in partenza che non servirà a niente. Che posso farci, a mio modo resto comunque un patetico sognatore, però non riesco a impedirmi di dire quello che sento, anche se certe volte non so neppure io a cosa serva. Incarno una persona qualsiasi, uno che abita la periferia del mondo, come tutti, perché tutto è periferia, non c’è da farsi illusioni.

Bruno Magnolfi

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