mercoledì 8 settembre 2010

Dietro al sorriso del cameriere

 
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Il mio mestiere è questo, non c’è niente da dire. Qualcuno storce la bocca se me lo chiede, ma io sorrido quasi sempre, ormai sono abituato a certi giudizi. Sono cameriere in una pizzeria, ogni sera su e giù lungo i tavoli apparecchiati con tutta la gente che mi dice cosa desidera e mi porti questo o quell’altro. A me non importa, memorizzo il minimo di quello che mi viene detto, scrivo sul taccuino i gusti delle persone e poi mi disinteresso di tutto. Dietro al forno sono in due, mi chiamano con il trillo leggero di un campanello quando c’è qualcosa per me. Io non parlo mai con nessuno, neppure con loro mentre aspetto che sfornino. Il resto della serata in genere procede per automatismi.

Siamo tre camerieri, ognuno si preoccupa solo del suo settore; stasera ho servito due tavoli, ma è ancora presto, stanno arrivando tutti anche se siamo solo a metà settimana. Le persone entrano dentro al locale, si guardano attorno, scelgono il posto e si accomodano: io arrivo subito, porto i menù e dico buonasera. Poi torno, mi lascio dire sempre le solite cose, faccio scegliere ciò che desiderano, poi scrivo ogni cosa sul mio taccuino e mi allontano alla svelta.

Stasera sembrano tutti tranquilli, nessuno si lamenta di una cosa o dell’altra come a volte succede; giro tra i tavoli e nessuno mi chiama con quelle odiosissime voci: cameriere, ehi, cameriere; così mi accosto ad un tavolo dove ci sono due tipi svegli di circa trent’anni, e mi fermo da loro tanto per fare due chiacchiere: chiedo se va tutto bene, come sempre si usa, poi dico che ormai la stagione è finita, e anche per noi il lavoro si fa più rilassante, tanto per dire.

Quei due mi guardano mentre si ritagliano un boccone della giusta misura, accennano qualcosa tra loro, poi dicono sottovoce, senza guardarmi, che dovrei uscire un attimo per farmi dare il pacchetto. Io non comprendo ma continuo ad ascoltarli, uno dei due intanto si alza e scorre la fila dei tavoli. Capisco che forse dovrei andargli dietro, ma sicuramente hanno sbagliato persona, o cameriere, o pizzeria, e improvvisamente tutto mi appare in un’altra maniera. Dico con voce tremolante che ci dev’essere un malinteso, e che io non so niente. Il tipo rimasto seduto mi guarda, fa un cenno a quell’altro che dalla porta si è voltato a guardare, poi si alza anche lui e tutt’e due filano senza dir niente.

Velocemente sparecchio quel tavolo, mi sento la fronte sudata, poi giro lo sguardo sui miei due colleghi e anche sui pizzaioli: forse sono un tipo persino troppo semplice, penso, forse dovrei guardarmi più attorno, interpretare le cose, ma a me pare già così complicato fare il cameriere che non capisco come potrei preoccuparmi di altro.

Bruno Magnolfi

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