giovedì 2 settembre 2010

La fine della favola



Che senso ha cercare di spiegarti quello che provo? diceva lui sottovoce, senza neppure guardarla. Il bicchiere oscillava leggermente dentro la sua mano, la posizione del suo corpo mezzo disteso sul divano davanti al camino che fiammeggiava sembrava un’immagine di decadenza, come una figura statica dentro a un dipinto, senza rimandi, quasi l’interpretazione del nulla. Lei non si era minimamente spostata dalla sua posizione, restando seduta su un minuscolo sgabello di legno davanti a quel fuoco brillante, tenendo in mano l’inutile attizzatoio con il quale si divertiva ogni tanto a toccare una brace o a muovere leggermente un pezzo di legno.

Perché, gli aveva risposto dopo un bel po’; in fondo sono sempre tua moglie, una persona che ti conosce bene, se solo mi interessassero i tuoi stiramenti sentimentali. Lui, come punto da una spina, si era sollevato dalla sua posizione, aveva appoggiato il bicchiere sopra al tavolo, poi aveva detto soltanto: non puoi certo pensare che la tua indifferenza non abbia un peso in tutto questo…

Lei continuava a stuzzicare il pezzo di legno che intanto continuava a bruciare vigorosamente, poi emise uno sbuffo, solo per dire: è diverso, diciamo che la mia passionalità è sotto controllo, e non mi lascio prendere da stupidi entusiasmi preannunciatori di altrettante sofferenze, come invece fai tu. Perciò su questa strada non ti seguo, anche se mi divertono i tuoi contorcimenti.

Lui si era sollevato definitivamente dal divano, aveva ripreso il bicchiere centellinando un ultimo sorso, poi si era spostato alle spalle di lei, osservandone la schiena ed i lunghi capelli sciolti. Per un attimo aveva pensato di assestarle un colpo alla nuca con le molle per il fuoco, giusto per non sentirla più con le sue riflessioni che ormai conosceva a menadito, ma invece aveva detto con voce risoluta: siamo diversi; per me innamorarmi è un elemento di instabilità, ma anche di vita, e così non riesco a farne a meno.

Lei pensava qualcosa, ma restava in silenzio; poi disse: hai già pensato di assestarmi un colpo alla nuca come i tuoi istinti consiglierebbero di fare? Lui si sentì colto sul vivo, e in quell’attimo squillò il telefono. E’ lei, disse restando in piedi nella stessa posizione. Non posso parlarle prima di aver risolto il mio conflitto interiore. Lei si alzò lentamente dal panchetto dopo che alcuni altri squilli avevano saturato l’aria del salone, poi, quando aveva sollevato il ricevitore, si era resa conto che all’altro apparecchio avevano già riagganciato.

Non ti merita, disse con sarcasmo, per stasera dovrai accontentarti di tua moglie. Lui si sentì come rasserenato da queste parole, fece due passi, la raggiunse tentando goffamente di abbracciarla. Lascia perdere, disse lei, sono meccanismi che conosco; l’incanto è finito ormai da tanto tempo.

Bruno Magnolfi

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