martedì 3 agosto 2010
Contro il mio simile
La prima coltellata la sferrai con forza, stringendo bene con le dita quel manico robusto, affondando il più possibile la lama dentro al corpo. Non parlavo, non dicevo niente, non sentivo il bisogno di dire una sola parola, però guardavo con occhi fissi quello che facevo, ed i miei gesti si convincevano mentre andavo avanti. Non conoscevo quell’uomo, però provavo un sentimento di schifo nei suoi confronti, anche se non ero riuscito a chiarire dentro di me il vero motivo di quella sensazione. Sentivo che non sarei stato capace di cancellare in fretta quella repulsione che provavo, eppure il mio comportamento era l’unico giustificabile, il solo che potevo sentire come mio, immedesimandomi in quei fendenti come se non ci fosse stato altro, nient’altro possibile per me in quei momenti.
Di quel corpo provavo un viscerale ribrezzo, forse dello sguardo, forse dell’odore, non so; ciò di cui ero più certo è che non sopportavo di sentirlo ancora respirare, e proprio in quei momenti quell’essere immondo aveva iniziato ad emanare dei rantoli odiosi ed osceni. Così con una delle coltellate successive gli tagliai la gola, però tenendomi a distanza, con il braccio disteso, un colpo secco, quasi cercassi di non avere niente a che fare con quella carne molle, quello sguardo di vecchio, quel viso insanguinato, adesso quasi irriconoscibile, quel corpo puzzolente. Con la punta della lama continuai a tagliuzzargli la schiena e le braccia mentre rantolava a terra, poi lasciai andare il coltello, e subito presi a calci quel corpo che ormai non si muoveva neanche più, quasi desiderando che facesse ancora resistenza, che si ribellasse al suo destino, per inondarmi ancora di soddisfazione.
Infine lo coprii di polvere e di terra usando le mie scarpe per sollevarne tutt’intorno, quasi a cercare di assorbire quel sangue che aveva sporcato il viottolo, quella stradina di campagna vicina ad una macchia di lecci e di querce, come desiderando annullare, disintegrare quel corpo ignobile. Scoprii all’improvviso di avere sudato nello sforzo di colpire, poi vidi un legno, un semplice bastone, lo passai sotto a quelle braccia che non facevano più alcuna resistenza, e trascinai quel corpo fino dentro al bosco; vidi una specie di fossa e lo feci rotolare dentro, poi, sempre con i piedi, lo coprii alla meglio di terra e sassi, e infine me ne andai.
Non raccontai mai niente di quell’incontro, e nessuno me ne chiese nulla. Ma io spesso ripenso a quanto era accaduto quel giorno, ed ogni volta riprovo la stessa sensazione, quella voglia profonda di distruggere chi mi assomigliava.
Bruno Magnolfi
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