mercoledì 25 agosto 2010
Le peggiori abitudini
E’ tutto inutile, stavo pensando ancora prima di vedere la mia casa dove ero diretto, come ogni giorno, dopo essermi fermato a bere qualcosa con la solita gente del bar, dopo il lavoro. C’era mia moglie là dentro quell’ appartamento, la immaginavo davanti al televisore con le pantofole ai piedi e le mani che lisciavano il pelo del gatto, come sempre faceva a quell’ora. Non avevo nessuna voglia di aprire la porta di casa e trovarla seduta in quella medesima posizione, la stessa di qualsiasi altro giorno dell’anno a quell’ora. Non avevo alcuna voglia di dire le solite cose, attendermi le medesime domande gentili ed inutili di tutte le sere e risponderle a grugniti come ormai facevo da mesi.
Camminavo sempre più lentamente mentre cercavo di tornarmene a casa, ma pareva quasi che i miei piedi volessero prendere una direzione diversa, come a cercare di andare da qualche altra parte, per conto proprio. Pensavo a mia moglie seduta davanti al televisore con il gatto sopra le gambe, e mi pareva non esistesse una cosa più triste di quella dopo una giornata di duro lavoro. Forse mi sarei anche fermato nuovamente in un bar se ce ne fosse stato uno sulla strada proprio vicino al mio appartamento, pur di rimandare ancora la vista di quelle pantofole, del gatto, il televisore, e tutte quelle solite cose.
Qualche sera nel locale davanti al lavoro, mi ero anche fatto qualche birra di troppo ed ero rientrato cantando tra me sottovoce, pur di non dover dire buonasera e attendermi le solite domande di rito, com’era andato il lavoro e cose del genere. Era l’ultimo tratto di strada la cosa più difficile di tutte, quando ormai vedevo là in fondo le finestre del mio appartamento, e venivo preso alla gola dalle medesime immagini del televisore acceso e di mia moglie seduta davanti.
Osservavo i modelli di auto parcheggiate in tutta la zona per distrarmi un pochino, iniziavo anche a contare i passi che c’erano tra un marciapiede e quello di fronte pur di impegnare la mente, ma non c’era niente da fare, sapevo che dovevo aprire la porta di casa e vedere mia moglie, con le pantofole e il resto. Qualche volta avevo cercato di convincermi che quella era la migliore moglie del mondo, ma più continuavo a ripeterlo alla mia povera testa, più mi sembrava impossibile convincermi di una cosa del genere. Per questo era inutile qualsiasi tentativo, dovevo lasciare che le cose andassero avanti da sé, non c’era molto altro da fare.
Gli ultimi metri prima di arrivare alla casa erano i peggiori di tutti: speravo di potermi fermare a parlare con qualche vicino, qualcuno che conoscevo almeno di vista, ma niente, non c’era niente da fare. Poi salivo le scale svogliatamente, infilavo la chiave nella serratura ed aprivo la porta: il gatto non c’era, la televisione era spenta, mia moglie stava in giro per casa, truccata, le scarpe coi tacchi e un abito nuovo, e distrattamente diceva: ti va di uscire con me?, ed io mi rendevo conto che ancora non avevo neppure richiuso la porta.
Bruno Magnolfi
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