mercoledì 27 ottobre 2010
Analisi di un gesto
Lei era rientrata dentro casa, nell’ingresso si era tolta il soprabito, aveva dato giusto uno sguardo dentro allo specchio ovale, come sempre faceva quando ci passava davanti, (era qualcosa di cui non riusciva a fare a meno), poi si era affacciata al piccolo studio. Lui si era voltato, l’aveva osservata: ciao, aveva detto con un certo distacco. Lei lo aveva guardato, ma non aveva risposto, limitandosi ad una semplice occhiata, poi si era subito spostata nella stanza adiacente, aveva pigiato il pulsante della televisione e si era seduta su una poltrona, accendendosi una delle sue sigarette e preoccupandosi immediatamente del posacenere.
Sul tavolino basso, di vetro, aveva osservato un foglio piegato del quale non aveva memoria, così lo aveva preso ed aperto, giusto per leggere la pubblicità di qualcosa. Si sentiva nervosa, non le piaceva quello starsene lì senza combinare un bel niente, così aveva preso con sé il posacenere per spostarsi in cucina. Dalla finestra aveva intravisto la sua vicina di casa che stava annaffiando delle piccole piante sul suo davanzale fiorito, e per un attimo l’aveva invidiata, lei e tutta la calma che riusciva a mostrare. Così aveva aperto il frigorifero, deciso mentalmente cosa cucinare per quella sera, e alla fine era tornata a guardare ancora dalla finestra.
Le veniva da piangere, certe volte, solo ad osservare la vita tranquilla di tutti coloro su cui le cadevano gli occhi. Dalla stanza al fondo del corridoio la televisione continuava a trasmettere notizie di cronaca: ne sentiva il gracchiare sommesso, le pareva già di sapere tutte quelle parole che venivano usate, le frasi brevi, a volte smozzicate, di quei giornalisti ordinari che dicevano le cose come andavano dette, assomigliandosi tutti. Infine la sua vicina di casa aveva richiuso i vetri della finestra, abbassato la tapparella fino a sfiorare le parti più alte delle sue piante, e a lei era parso bello quel minimo di rispetto per loro.
Infine aveva spento la sua sigaretta schiacciandola nel posacenere, e si era affacciata nuovamente allo studio: lui era immerso ancora nel suo lavoro, le voltava le spalle, pareva non gli interessasse di niente se non di quello che stava facendo. Lei si era sentita dispiaciuta di non aver preso con sé un coltello dal cassetto della cucina: sarebbe stato quello probabilmente il momento più adatto per vibrargli un fendente in mezzo alle scapole, a lui e al suo maledetto lavoro. Invece gli chiese sottovoce cosa volesse per cena. Lui rimase un attimo immobile, poi si voltò lentamente, si alzò dalla sedia, le andò incontro con pochi passi leggeri. Poi le prese le spalle, l’abbracciò con dolcezza, forse si rese conto che nulla tra loro stava andando per il verso giusto, così, invece di rispondere, in un soffio disse soltanto: ti porto fuori per cena, ti va?
Bruno Magnolfi
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