mercoledì 13 ottobre 2010
Il senso di una persona qualsiasi
L’uomo solleva leggermente lo sguardo dall’articolo che ha attratto la sua attenzione fino ad allora: ha continuato a leggere quella rivista illustrata per più di dieci minuti tenendola appoggiata sopra le gambe, nonostante in una parte del suo campo visivo sia avvenuto qualcosa che con ogni probabilità è dato da una persona che gli è passata silenziosamente davanti per andarsi a sedere, in quella sala d’attesa,. A terra rimane un mozzicone di sigaretta spento, schiacciato sul pavimento chiaro, di marmo. Quella è la prima cosa che vede, che cattura il suo sguardo, poi, accanto, si concentra su un paio di scarpe femminili, piuttosto ordinarie, infine solleva la faccia fino ad osservare per intero la figura di una donna non magra che sta seduta in modo composto e lo guarda, quasi con una certa attenzione.
L’uomo sorride alla donna quando i loro sguardi si incrociano, dice: buongiorno, poi torna a completare le ultime righe dell’articolo che stava leggendo. Quando volta la pagina si accorge che la signora seduta di fronte lo sta ancora guardando. Lui si muove con agitazione sopra la seggiolina di plastica, gira le pagine della rivista che ha ancora tra le mani, pensa di alzarsi e di dare un’occhiata fuori dalla finestra in fondo alla sala, ma non lo fa.
Immagina di avere qualcosa fuori posto, si tocca la faccia, i capelli, getta un’occhiata sopra ai calzoni, alla giacca, però è quasi sicuro, ancora di più dopo quella ricognizione, che tutto sia a posto, ma la signora cicciona di fronte continua a guardarlo, come non esistesse nient’altro degno di osservazione in tutta la stanza.
Il silenzio appare pesante, ogni tanto si sente qualche rumore giungere dall’ambulatorio dentistico in fondo a quel piccolo corridoio, per il resto tutto è fermo e a riposo. L’uomo cerca qualcosa dentro alla tasca, così tira fuori un foglietto di carta, raccoglie una penna da sopra il tavolino basso dove sono appoggiate anche altre riviste oltre quella che ha già sfogliato, e cerca di scrivere qualcosa, un appunto su una sciocchezza che gli è tornata alla mente.
La signora si schiarisce la voce con un colpo di tosse, l’uomo solleva lo sguardo per vedere se è cambiato qualcosa, ma lei lo sta ancora fissando, sbattendo le ciglia e restando immobile nella stessa posizione di prima. Allora lui si alza, mette in tasca il foglietto, appoggia la rivista sopra le altre, muove due passi fino alla finestra, guarda fuori dai vetri il movimento dei pedoni sui marciapiedi e le automobili lungo la strada. Gli pare velata di grigio quella giornata, come se quello fosse il colore della monotonia, dell’ordinarietà, quasi che niente di interessante potesse avvenire in un giorno del genere.
Torna a voltarsi verso la sala: la signora lo guarda, non fa neanche finta di distogliere gli occhi. Lui si guarda le mani come per un gesto nervoso, poi torna a sedersi. Infine si sente giungere uno scatto dall’ambulatorio dentistico, la porta si apre, l’assistente chiama un nome che lui non conosce. La signora si alza, sposta la borsetta che ha tenuto fino ad allora sopra le gambe, poi dice, con garbo: arrivederci signore, è stato un vero piacere osservarla in silenzio; vede, per me i gesti, i piccoli movimenti delle mani, delle gambe, del corpo, interessano più che qualsiasi parola scambiata tanto per uccidere il tempo; guardarla mi è piaciuto tantissimo, sicuramente lei non dev’essere una persona qualsiasi.
Bruno Magnolfi
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