domenica 31 ottobre 2010
Fuori dalla casa col cancello di ferro
Il gruppo composto da una decina di braccianti si era fermato davanti alla casa, tutti parlavano tra loro a bassa voce, ma insieme formavano un certo brusio. Qualcuno teneva in mano il cappello forse per una forma istintiva di rispetto, altri pensavano non fosse il caso di mettere le mani dentro alle tasche dei propri calzoni, e in questo modo tutti tenevano le braccia e le mani callose come delle appendici inerti, giù lungo i fianchi, in posizione per loro poco naturale. La giornata era bella, il lavoro li attendeva come ogni giorno, ma c’era sempre quel problema che si frapponeva alla loro faticosa giornata, ed adesso erano lì, per la prima volta, a chiedere qualcosa che non sapevano neanche loro come dire, anche se si sentivano convinti, determinati.
La casa appariva silenziosa, tutti invidiavano quello stupendo loggiato con le travi di legno sulla facciata di pietra; e poi quel giardino, quel meraviglioso pezzo di verde punteggiato dai mille colori dei fiori. Loro si tenevano fuori dal grande cancello di ferro battuto, ma da lì ai tre gradini che immettevano direttamente alla casa, ci saranno stati appena quindici metri. A giudicarlo da fuori, pareva quasi che in casa non ci fosse nessuno, ma loro sapevano che non era così.
Le loro richieste erano sciocche, si trattava di avere esattamente il salario che prendevano i braccianti nelle terre vicine, né uno di più né uno di meno, perché oramai provavano quasi vergogna quando al sabato sera andavano in paese e si mettevano a parlare con gli altri operai agricoli. Era una questione di giustizia, nient’altro, altrimenti erano disposti a stare lì, senza far niente, con tutto il lavoro che c’era da fare nei campi. Tutti guardavano la porta di casa, sapevano che il signor Guido tra non molto li avrebbe raggiunti, li avrebbe guardati uno ad uno, forse con sorpresa, forse con severità. Non importava, quel che c’era da fare era quello, nient’altro.
Quel mattino quando si erano ritrovati, dopo giorni che parlavano sempre del medesimo guaio, qualcuno era stato un po’ titubante, ma adesso anche quei due o tre avevano preso coraggio, e tutti erano davanti al cancello, meno che Mauro, il loro caporale, che comprensibilmente era rimasto nel magazzino. Erano quasi le nove, lentamente il portone di casa si era aperto, provocando immediato silenzio tra loro. Erano subito usciti il signor Guido e suo figlio, avevano richiuso la porta alle spalle, poi erano andati verso il cancello.
Cosa succede, aveva detto il signor Guido fermandosi a tre o quattro metri; forse non avete più la necessità di lavorare per me? Mi fa piacere per voi, ma per quanto mi riguarda a me non importa, diceva tutto di un fiato ma scandendo con accuratezza ogni parola, sono già in trattative per prendere altri braccianti, sostituire voialtri, perché tanto da voi non c’è da attendersi che comportamenti spiacevoli. Era una decisione che avevo già preso insieme a mio figlio, che da oggi si occuperà assieme a me dei lavori, non è vero Giovanni?
Certo papà, disse con voce decisa il ragazzo, non vedo assolutamente perché dovremmo perdere tempo con queste persone: c’è del lavoro da fare giù nei campi, è bene che qualcuno lo faccia, senza tanti tentennamenti. I braccianti cercarono di dire qualcosa a quel punto, ma si misero assurdamente a parlare tutti assieme, componendo una confusione incomprensibile, e in quella il signor Guido e suo figlio Giovanni si voltarono indietro, come se non avessero da ascoltare niente e nessuno, riprendendo il vialetto fino alla casa e sparendo dietro al portone.
Bruno Magnolfi
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