mercoledì 13 ottobre 2010
La giacca, sopra le spalle
Sto bene in questi ultimi tempi. Al medico ho detto che mi sento in grado di riprendere con il mio lavoro, la depressione ormai è alle spalle, soltanto una brutta fase della mia vita. Adesso frequentemente indosso una giacca, una bella giacca che ho comperato per caso, dopo averla vista in una vetrina mentre passavo davanti al negozio. E’ di colore rosso, un rosso un po’ scuro, per niente vistoso: i miei parenti vengono spesso a trovarmi e tutti mi fanno i complimenti per quella mia giacca. Ne sono fiero, dico la verità, indosso quella e mi sento subito meglio, giro per le strade con più sicurezza, maggiore indipendenza di prima. Certe volte la tengo sopra le spalle anche quando resto in casa. Non lo so, non so spiegarmi perché, ma so che è così, lo sento, per questo forse vorrei tornare al lavoro, per farmi vedere guarito da tutti i colleghi e con indosso la giacca.
Oggi sono uscito di casa, non mi piace più stare lì fermo seduto a guardare il solito muro. Ho girato un po’ avanti e indietro nel mio quartiere, poi sono entrato dentro al caffè dove andavo fino a qualche anno fa. Un uomo mi ha riconosciuto e mi ha fatto un saluto, ma io non mi ricordavo per nulla di lui, così ho fatto finta di niente. Bella la tua giacca, dice quello, forse già mezzo sbronzo. Già, faccio io. Devi averla comperata da poco, fa lui, un nuovo modello, roba fine, che non si vede tanto spesso qua in giro. Annuisco, intanto metto i bottoni dentro alle asole tanto per fargli vedere come mi calza, ma quello butta giù un bicchierino e poi fa: potresti venderla a me, dice di un fiato, più o meno siamo uguali di taglia, sono sicuro che con una giacca così mi sentirei un’altra persona.
Lo guardo come se non avesse detto un bel niente, cerco qualcosa dentro alle tasche con modi nervosi; quest’uomo mi sta facendo arrabbiare, penso tra me, dice soltanto delle sciocchezze, la giacca è la mia, non c’è alcun motivo per cui dovrei toglierla. Ma quello insiste, dice: dai, fammela provare, non ci vuole niente, fa lui, così vediamo a chi calza meglio. Io non me lo filo neanche, e assesto un pugno sopra al bancone, tanto per fargli vedere di cosa sono capace.
Ma quello cambia sistema, diventa più appiccicoso, adesso dice che non gli importa più niente della mia giacca, che diceva tanto per dire, e che anzi, è proprio di un colore impossibile, lui non la indosserebbe per nessuna ragione, se non per fare un piacere a un amico. Mi volto, nel locale non c’è nessuno, il barista fa le sue cose, mi sento di non sopportare ancora quell’uomo. Così dico a voce sempre più alta: basta, lei non deve dire più niente, né sulla giacca, né su altre cose, così quello si fa servire un altro bicchierino e lo offre anche a me, tanto per fare la pace. Io dico che mi fa male, ma quello insiste, infine mi porge il suo, e forse senza intenzione mi versa il liquore sopra la giacca.
Sul momento non dico niente, ma la macchia è proprio davanti ed è appiccicosa. Quello si scusa, dice qualcosa con la sua voce per me insopportabile, io resto fermo, senza niente da dire, il barista mi fa: forse è meglio se adesso vai a casa. Io mi sento sempre più male, ognuno mi dice cosa è meglio e cosa è peggio per me, intanto la mia giacca ormai è rovinata, non potrò più indossarla, è un grosso guaio, penso, un guaio senza rimedio.Vorrei gettarmi addosso a quell’uomo, riempirlo di botte, ma mi sento sempre più debole, sono sicuro che non riuscirò neppure ad arrivare fino a casa. Barcollo fino all’uscita del caffè senza dire niente a nessuno, poi cado lungo disteso sopra al marciapiede di fronte: voglio morire qui, penso, non mi importa più niente se i miei colleghi di lavoro non riusciranno a vedere la mia giacca, incaricherò qualcuno per andare a spiegarglielo che mi stava bene, che era tagliata proprio su misura per me, che era una giacca davvero speciale.
Bruno Magnolfi
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