mercoledì 1 dicembre 2010
Al bordo del mondo.
L’appuntamento era fissato in una larga piazzola panoramica accanto alla strada provinciale, subito fuori città, all’apice di una bassa collina; vi si trovavano alcune panchine di legno dove era possibile sedersi ad osservare un pezzo di aperta campagna, nelle giornate di sole, ed era bello attardarsi là sopra, come se il tempo perdesse di consistenza, limitandosi a far calare la sera, alla fine di quei pomeriggi, ma con una piacevole calma. Già altre volte lui e lei si erano ritrovati su quelle panchine, a parlare, a scambiare le proprie opinioni, a cercare, quasi fondendosi tra loro e in quel panorama, di uscire fuori dalla loro diversa e ordinaria realtà.
A lui piaceva arrivare in anticipo, restare qualche minuto da solo ad osservare le cose, rimanersene in piedi appoggiato alla staccionata di legno, con le spalle coperte da una siepe che divideva quel luogo dal tracciato stradale. Pensava a se stesso, a lei, al loro incontrarsi, senza dare giudizi su niente, solo immaginando i loro sorrisi incontrandosi, il loro abbracciarsi, quell’immediato ricostituire ogni momento che avevano passato distanti, sin dall’ultima volta che si erano incontrati.
Lui stava lì, e gli era piacevole allungare a dismisura quel momento, come lasciandolo intrappolato tra il desiderio di rivederla al più presto, ed il leggero bisogno di preparare i suoi sentimenti alla vista di lei. Restava lì, appoggiato con gli avambracci su quel corrimano, e con gli occhi persi in quella campagna, a cercare le sfumature di grigio nella distanza che fondeva la terra col cielo. Si sentiva felice in quel momento, quasi come se un tremore, di chissà quale natura, ma tutta elaborata dentro se stesso, arrivasse tra un attimo a sconvolgere insieme a lei qualsiasi sua aspettativa, stravolgendo ciò che aveva immaginato a favore della realtà.
Scommetteva su quel momento, ne avvertiva il suo approssimarsi, evitava di girarsi per scoprirla mentre stava arrivando, e al contrario lasciava volutamente che fosse lei a sorprenderlo solo, immerso in quella visione aperta su tutto e su niente, come se una scoperta inattesa tingesse di colori meravigliosi quel loro incontro. Sognava quasi il momento, e proiettava ogni sua immagine attorno a cose minori: cosa si sarebbero detti, come si sarebbero guardati, quanto desiderio ognuno dell’altra sarebbe stato possibile trasmettersi con un semplice gesto, forse soltanto con uno sguardo.
Infine lei era lì, fermava la sua automobile a ridosso della siepe, tirava il freno di stazionamento, scendeva dall’abitacolo, con calma, con i suoi soliti modi compassati, di chi non vuole sbagliare. Lui si voltava, osservava il suo abito, la fisionomia, le andava incontro, felice di tutto, come se niente ci fosse di diverso da ciò che aveva vagheggiato fino ad allora. Si prendevano le mani, si salutavano, sorridendo, quasi senza riuscire a contenere le loro espressioni deliziate di quel ritrovarsi esattamente come avevano tanto desiderato.
Niente sembrava valere quel loro momento, se non quella campagna, quel luogo qualsiasi appena fuori città, quell’ora calda del pomeriggio, quando il giorno è ancora pieno, denso di cose da pensare e da dire, quando è ancora possibile immaginarsi e sognare qualcosa di superiore ad un semplice appuntamento. La strada, oltre la siepe, restava la stessa, con il suo traffico abbastanza rarefatto a quell’ora, quelle automobili in corsa verso qualcosa: loro due si sentivano fuori da tutto, almeno quando erano lì, in quella piazzola appoggiata sul mondo, come se fosse possibile scavare un piccolo nido fuori da tutto, un angolo fuori dalla vita di sempre, e lasciare che il resto di tutte le cose si disinteressasse di loro.
Bruno Magnolfi
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