mercoledì 8 dicembre 2010
Scena n. 12. Il dialogo.
Sul palco la luce appare scarsa, come se la finta stanza curata dagli sceneggiatori fosse illuminata da un’unica sola candela, quella appoggiata sopra al tavolo. Si intravedono soltanto due persone, sedute, immobili, le espressioni serie, di chi ha pensieri profondi, e riesce a trattenerli solo per qualche momento, come fosse questo il tempo giusto di una sincerità superiore e definitiva.
Uno dei due individui, nella penombra, sembra una donna, capelli bianchi, raccolti in una crocchia sulla nuca; si piega un po’ in avanti, poi dice: non mi interessa più niente di ciò che potrà accadere, con tuo padre ne abbiamo parlato così tante volte che oramai è solo un fastidio pensare ancora al futuro. La mia vita è scarsa di tutto, non c’è stato neppure il tempo per interrogarmi su cosa dovessi fare, se non cercare che tutto fosse funzione delle cose che avevo imparato da piccola, da quegli insegnamenti inculcati in me dai miei genitori.
L’altra persona è un ragazzo, volta la testa, sembra non abbia voglia neppure di parlare, ma infine dice: sono confuso, lo ammetto, mi avete parlato di tante cose, avete cercato di spiegarmi gli aspetti più diversi della realtà, ed io spesso sono rimasto inerte, a cercare di ascoltare quanto, tu e mio padre, volevate dirmi, senza che sia riuscito a vantare delle opinioni personali. Ora forse dovrei dire qualcosa di me, ma non sento niente, non ho maturato nulla tra le mie idee.
Ambedue restano seduti, come se fossero estranei, i pensieri dietro a qualcosa di imprendibile, con ritmi diversi, differenti lunghezze d’onda, quasi che tra loro non ci fosse proprio niente di comune. La donna guarda le sue mani, le vede raggrinzite dai lavori che ha dovuto svolgere nella sua esistenza, e questo le pare un aspetto importante, fondamentale della vita. Il ragazzo guarda davanti a sé, e non vede niente, se non il buio di qualcosa che non gli è chiaro, non gli è stato spiegato o lui non ha compreso.
Poi si volta, dice: siamo diversi, la nostra natura è ciò che ci distanzia. La donna sembra indifferente, prosegue a guardare le sue mani, infine dice: un cemento collega tutti gli uomini; i loro dubbi, le perplessità che non riescono mai a sciogliere. Questo è il nostro male, questa la nostra affinità. Il ragazzo si alza in piedi, guarda la donna, infine dice: lo so, vorrei solo superare questo ostacolo, nient’altro.
Bruno Magnolfi
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