sabato 25 dicembre 2010
Vecchio Natale.
In quest’ultimo periodo, il tempo scorre più velocemente. Certe volte chiudo appena gli occhi per raccogliere i pensieri, e quando li riapro è già arrivata l’ora del pranzo, o della cena, della visita del medico, o di chissà cos’altro. La giornata è scandita da una serie di appuntamenti in mezzo ai quali dovrei forse avere del tempo libero, starmene lì, immobile, e guardare le chiome degli alberi là fuori, nel giardino, e ripensare ai motivi per cui la mia vita sia rimasta imbrigliata in questa situazione ai limiti del verosimile.
Invece qualcuno mi tocca un braccio, mi chiamano, c’è da far questo o quest’altro, e la giornata sembra chiudersi in un attimo, senza che sia riuscito neppure a raccogliere le idee. Mi piazzo davanti alle vetrate, su una sedia comoda, e lascio che davanti mi scorrano i ricordi, ma il tempo è diventato più veloce, e i miei libri devono essere chiusi in tutta fretta. Non me ne lamento, forse deve essere così, non posso farci niente.
La luce del giorno dura poco, ed io risulto lento, inadatto alla sincronia che serve. Gli altri anziani di questa casa di riposo se ne stanno immobili e in silenzio, come me, e un gruppo qualche volta gioca a carte su un tavolo quadrato. Poi ci sono i programmi alla televisione, ma nessuno guarda ormai più niente, tanto distanti sono tutte quelle cose da noi stessi. A me basterebbe comprendere la chiave della mia esistenza, come abbia fatto a ritrovarmi qui, quasi senza accorgermi di niente. Invece mi torna a mente il viso di una ragazza di cui adesso non ricordo neanche il nome, e volentieri mi lascio cullare da quel suo sorriso.
Il medico mi chiede come sto: benissimo, rispondo, qua non manca niente; però ancora non capisco dove abbia sbagliato, quale possibilità io non ho colto durante la mia vita per non sentire adesso il rimpianto che mi opprime in certi giorni. Lui dice che io sono troppo profondo, dovrei pensare meno, distrarmi, giocare a carte o guardare la televisione, come fanno gli altri. Domani è Natale, dice, ancora un’altra volta, pensa quanti ne ha passati uno come te, non ti sembra già meraviglioso?
Forse ha ragione dottore, gli rispondo; ma non riesco a rassegnarmi all’oblio, al vuoto della mente che smette di pensare. Mi siedo nel mio posto preferito, guardo laggiù le chiome di quegli alberi, mi pare manchi qualcosa alla mia vita, anzi, ne sono ormai sicuro. Forse sarà anche Natale domani, e forse non c’è neppure il tempo sufficiente, ma io devo provare a capire il senso di ciò che mi è accaduto, e forse anche di quello che non mi è capitato. Sono un uomo, dottore, e il tempo è frettoloso, ma io sono sicuro di sconfiggerlo, di riuscire a capire ciò che ancora devo.
Bruno Magnolfi
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