lunedì 6 dicembre 2010

Il potere di una persona qualsiasi.




Certe volte le cose sono proprio complicate. Esci di casa, vai nei soliti posti di sempre, e tutti sembrano quasi ignorarti, come se non avessero tempo per te, per star dietro alle tue stupidaggini. Così abbassi lo sguardo, non dici niente a nessuno, ti chiudi in te stesso lasciando che gli altri facciano pure quello che vogliono. Poi inizi a pensare che le parole non dicono niente, per questo è poco importante parlare, forse hanno proprio ragione tutti quanti, tanto vale mettersi lì e non pensare più a niente, come se non ci fosse niente che ne valesse la pena.

Torno a casa e mia moglie mi guarda, come se avessi fatto qualcosa di male, o se fossi un qualsiasi buonannulla come questi ubriaconi che passano il giorno nel bar qua vicino. Mi piazzo in un angolo, accendo la televisione, tanto per fare qualcosa, e lì mi distendo, lascio che tutto vada un po’ per suo conto, che in fondo non ho neanche voglia di capirne qualcosa.

Dice mie moglie che mi hanno cercato al telefono, qualcuno voleva sapere dove io fossi, quando tornavo, che cosa avessi in programma, tutte cose del genere. A chi possono interessare quei fatti miei, mi chiedo, tutti quanti si sono richiusi in se stessi, nessuno ha più niente da dire, e poi trovi gente che telefona e vuole sapere dove mi trovo, cosa penso, cosa sto facendo; così torno a uscire di casa, vado al bar a vedere se l’atmosfera è cambiata, se c’è qualcosa che non sono riuscito a capire.

Un amico anche lì mi dice che mi hanno cercato, due tizi mai visti hanno chiesto di me, delle mie abitudini, quali fossero gli orari dei miei spostamenti. Naturalmente non è stato spifferato un bel niente, ma la faccenda non è affatto chiara, io mi sento braccato, anche se non capisco quale motivo ci sia per darmi la caccia. Così inizio a indossare un cappello, un vecchio berretto che tengo in casa da anni, tanto per coprirmi la faccia, lo sguardo, per rendermi meno riconoscibile. Mi guardo attorno per strada, mi sembra che tutti mi osservino, scrutino ogni mia minima espressione, come se all’improvviso fosse diventato importante capire cosa io pensi, dove vada, quali siano le mie idee.

Non capisco per niente cosa sia tutta questa faccenda, lo dico a un amico che sta seduto lì accanto nel bar; ma lui mi guarda in modo curioso, non risponde un bel niente, scuote la testa e poi se ne va. Anche mia moglie non sembra la stessa, fa le cose di sempre, si comporta nella stessa maniera, ma fa tutto in modo più strano, quasi come se io fossi un estraneo. Oscillo da un posto a quell’altro, senza quasi fermarmi, nei luoghi di sempre, salutando le stesse persone che conosco da anni, eppure tutto sembra diverso, anche se non ne capisco il motivo. In poche ore mi pare di avere la febbre, di vedere tutto distorto.

Infine due uomini con la cravatta mi fermano in mezzo alla strada, sono gentili, mi parlano di qualcosa, mi chiedono di togliere per un po’ il mio cappello, mi guardano, conoscono bene il mio nome, chi io sia, ma io non li ho mai visti prima. Dicono che sono degli inviati, roba statale, investiti di piena ufficialità; forse, penso io, spediti qui dal governo, vogliono solo capire di più dei miei comportamenti: sembra che io sia la persona perfetta da studiare, dicono loro, l’uomo campione che pensa le medesime cose che pensano tutti, così sono un soggetto importante, uno tramite il quale si riesce a capire cosa pensano gli altri.

Non possono darmi dei soldi, non possono neppure pagarmi un caffè, perché in questo modo cambierei forse qualche opinione, e invece devo solo dire a loro quello che penso, tutto ciò che mi passa dentro la testa, senza lasciarmi influenzare da nulla. Questa è la cosa più strana che mi sia mai successa, penso, così mi metto lì, buono buono, e rispondo a tutti quei loro questionari infiniti. Al termine mi dicono che sono stato bravo, paziente, devo essere più che orgoglioso di quello che ho fatto, perché in questo modo ho dato una mano alla nazione.

Poi mi salutano, se ne vanno così, come sono arrivati, io mi rimetto il cappello, li guardo andar via, e vado subito a infilarmi nel bar: stasera ho proprio voglia di alzare un po’ il gomito, penso tra me, tanto la vita è uno schifo, persino in misura maggiore di ciò che si immagina.

Bruno Magnolfi

Nessun commento:

Posta un commento